“La legge non è altro che la giustificazione a posteriori di un rapporto di forze intercorso.” Un vecchio professore di diritto delle istituzioni romane ce la spiegò così. La legge. Una sorta di toppa cucita sopra il tessuto della Storia per coprire il buco prodotto dalla violenza lacerante di uno scontro, che fosse esso armato, politico, ideologico. E l’ago e il filo e la pezza sono nella disponibilità solo di chi ha vinto.
Chi vince ricompone la trama. Ne descrive il senso e lo piega ai propri bisogni, mostrando ai contemporanei e ai posteri ora per allora la legittimità giuridica delle scelte intraprese. Ma questo modo di pensare alla legge e alla Storia è appunto un’idea degli albori del diritto. Ai romani dobbiamo tanto delle nostre istituzioni giuridiche, ma l’evoluzione dell’uomo ci ha portati a comprendere che alcuni principi, alcuni diritti, certi fatti non possono essere piegati al potere del più forte, fosse anche il vincitore degli eventi bellici, delle competizioni elettorali, degli scontri ideologici.
Nel ventunesimo secolo, nel secolo che segue quello dell’Olocausto, nel secolo dove i principi nati dall’illuminismo hanno eretto società fondate sullo stato di diritto delle democrazie liberali e hanno compiuto il miracolo di garantirci oltre settanta anni di pace nel vecchio continente, ecco in questo secolo la sconfitta non toglie al vinto, all’ultimo, al debole il suo diritto di invocare giustizia. Di invocare la salvaguardia dei diritti fondamentali della persona umana. Di invocare la difesa della memoria. Di invocare l’aiuto a chi può impedire che il più forte si arroghi la pretesa di riscrivere la Storia. Che si legalizzi ex post ciò che era e resta illegale. Disumano. Esecrabile.
Delle oscenità di Bucha e Kramatorsk, di quelle ancora più atroci che si scopriranno a Mariupol, non ci sarà pezza a colori della propaganda, della disinformazione, della legge del più forte che potranno nascondere la lacerazione d’umanità decisa deliberatamente da un autocrate, avallata dalla sua élite e sostenuta dalla maggioranza di un popolo soggiogato dal proselitismo ideologico fondato sul preteso neo imperialismo russo.
Putin ha deciso di catapultare l’umanità, sì certo, questo pezzo di umanità pacificata, prospera che spesso volge lo sguardo dall’altra parte rispetto alle ingiustizie immani che accadono in altri angoli sperduti del pianeta, indietro di un secolo. Si può dunque di nuovo invadere un confine, bombardare città, stuprare donne e bambine, giustiziare civili inermi, annientare fuggiaschi. Si può strappare il diritto e le convenzioni internazionali. Si può far tacere il senso di umanità che si dovrebbe cercare nel proprio cuore e non solo nei codici. Si può scaraventare il mondo nel terrore della guerra definitiva.
Destabilizzare i mercati alimentari ed energetici. Tutto questo si può. Con la pretesa che una volta vinto il “rapporto di forza” si possa legalizzare l’indicibile. Ma l’indicibile non scompare. Riemerge. Non c’è forza militare, economica, propagandistica che possa evitare che l’indicibile torni a galla con il suo puzzo fecale. L’oscenità del male è nella sua banalità, ci ammoniva Hannah Arendt.
Ma questo male a cui assistiamo non è solo banale, è scelleratamente anacronistico. Assomiglia ad un arnese in disuso di un’era tecnologica superata. Come un telecomando con il filo. Questo iato fra la coscienza contemporanea dell’Occidente e la pretesa passatista e patriarcale dell’orso orientale frantuma lo specchio nel quale immaginavamo di rifletterci insieme.
Non abbiamo più uno specchio comune nel quale guardarci. Siamo in due fasi differenti della Storia dell’uomo. Putin ha di fatto creato una distopia nel presente deviando il corso dell’evoluzione giuridica e filosofica di un pezzo di umanità. Due storie iniziano a correre una a fianco all’altra e pian piano cominciano a divergere fino a prendere direzioni opposte.
Quella di Putin corre verso il passato: religione, ortodossia, maschilismo, militarismo nazionalista, legge del più forte, terrore, privazione delle libertà, censura. Quella dell’Occidente corre verso il futuro: laicità, difesa comune sovranazionale, libertà sessuale e di genere, stato di diritto, solidarietà, società aperte, diritto al dissenso, anche quello più becero e disinformato.
Ogni scontro è uno scontro di idee. Fin dall’inizio della Storia. Quando queste idee definiscono modelli sociali complessi che divergono fra loro lo scontro diviene uno scontro di civiltà. Chi non interpreta in questo modo lo scontro in atto è cieco di fronte agli eventi che il destino lo ha chiamato a vivere o peggio strabico per interessi evidentemente indicibili. Putin ha mosso guerra al nostro modello. Vuole vincere e dettare legge, per riscrivere la Storia e portare il mondo nel passato.
Ma per quanto ogni epoca abbia dovuto sfidare uomini desiderosi di fermare la corsa dell’umanità verso il futuro, la direzione del nostro destino è segnata verso il futuro. Forse saremo costretti a rallentare, a fermarci, anche a dover fare qualche metro in senso contrario, ma nessuno può impedire alla legge della contemporaneità, lo stato di diritto, che abbiamo conquistato in secoli di battaglia, di affermarsi.
Putin in Ucraina è in guerra contro la legge della contemporaneità. E perderà.
Antonello Barone, 10 aprile 2022