Economia

Qual è la politica economica che spegne il populismo

Immaginate di avere denaro sufficiente ad acquistare una Ferrari. Prima di acquistarla farete probabilmente un giro tra vari concessionari e magari farete anche una visitina ad un concessionario di utilitarie, così, giusto per curiosità e per vedere se può esserci qualcosa di interessante anche lì. Poi, però, potendovela permettere, andrete al concessionario Ferrari e ve ne comprerete una.

Il contrario farà chi può permettersi invece solo un’utilitaria: visiterà soprattutto concessionari di utilitarie e magari farà una capatina a quello delle Ferrari, così, giusto per sognare un po’. Dopo, però, andrà al concessionario delle utilitarie e ne comprerà una.

Ma cosa succede se colui che ti offre un set di auto tra cui scegliere il tuo prossimo acquisto è un amico? O almeno uno che si presenta come tale, uno che dice di non essere un negoziante ma solo una persona di buon cuore che è entrata in possesso di una selezione mista di auto, sia utilitarie che sportive e che puoi scegliere quello che vuoi tra queste e il prezzo verrà fissato a sorte in seguito, dopo il tuo acquisto (quindi in pratica potresti ritrovarti con una Ferrari pagata al prezzo di un’utilitaria o, attenzione, con un’utilitaria pagata al prezzo di una Ferrari)?

Questo è il populismo: l’elettore non sa cosa sta effettivamente comprando/votando fino al momento in cui il partito populista vince le elezioni e va al potere. E così, l’elettore scopre che nemmeno gli stessi rappresentanti del partito populista sanno esattamente cosa vogliono fare semplicemente perché… non erano venditori di auto di questa o quella categoria, si sono solo presentati come amici (ed è per questo che hanno ottenuto voti da tutti) e ora non sanno che tipo di auto vogliono vendere e a chi! La fregatura presa a quel punto è chiara, ma è troppo tardi.

 

Come fa una popolazione ad arrivare a credere davvero che chi viaggia in Ferrari (meritatamente, si intende, perchè magari con la sua capacità, talento, duro lavoro, ha guadagnato tanto) abbia gli stessi interessi e desideri e gusti di chi si può permettere solo un’utilitaria (anche qui meritatamente, si intende, perchè ad es. ha scelto di lavorare meno rinunciando al relativo maggior guadagno, o perchè semplicemente le proprie capacità e, perchè no, anche un pizzico di sfortuna, non gli hanno permesso di raggiungere livelli più alti di reddito)? Come può arrivare un elettore a pensare che un partito politico davvero sia in grado di soddisfare tutti contemporaneamente?

 

Nei miei studi sull’argomento sono giunto ad una sintesi finale ed ad una teoria che ho espresso diffusamente nel mio ultimo saggio (“Monetaerism, Populism, Keynesianism: a productivity matter…”)*. La materia è ovviamente piuttosto complessa e tecnico-economica, ma vediamo di provare a semplificarla.

Il populismo nasce da due fattori, uno abbastanza noto e ovvio, l’altro meno noto e decisamente più tecnico-economico che ho individuato in detto scritto. Il primo è la crisi economica specie se prolungata: essa scontenta tutti, “ferraristi” e non, e appalesa l’incapacità sia a destra che a sinistra di risollevare la situazione.

Si forma così la convinzione trasversale che destra e sinistra siano quindi uguali o ugualmente fallimentari, sono quindi la èlite che lavora solo per se stessa. Arriva dunque il partito contro l’èlite, che dice farà il bene di tutti, di tutto il popolo, ma questo, come visto, è impossibile. Eppure in molti ci cascano.

Ma sempre? No. Non dove c’è una certa, come l’ho chiamata, “struttura della produttività”, ed ecco quindi il secondo fattore. Le economie delle varie nazioni hanno spesso diverse strutture di produttività, cioè di combinazione tra produttività “incorporata” (embodied) e “scorporata” (disembodied).

Per fare un esempio semplice e certamente non esaustivo: il PC rappresenta una produttività “incorporata” perchè incorpora, appunto, la grande innovazione tecnologica che lo rende enormemente più efficiente di una macchina da scrivere; ma per usare il PC bisogna che il lavoratore che prima batteva solo a macchina, impari ad utilizzare il nuovo mezzo. Quella del lavoratore è quindi una produttività “scorporata” dal mezzo. E’ ovvio che con un PC in dotazione ma un lavoratore che non lo sa usare, la produttività sarà 0, con buona pace degli sforzi fatti per inventare il PC.

Ora, sintetizzando al massimo, possiamo dire che le combinazioni possibili di queste due componenti di produttività sono tre:

(1) la produttività incorporata della nazione cresce a ritmo piuttosto regolare; la produttività dei suoi lavoratori, dal canto suo, riesce a tenere il ritmo dell’innovazione tecnologica, la produttività complessiva della nazione quindi cresce;

(2) La produttività incorporata della nazione cresce, ma quella dei suoi lavoratori è invece in costante calo, non riescono insomma ad imparare ad usare le nuove tecnologie man mano che l’industria le sforna: la produttività complessiva della nazione risulta quindi piatta;

(3) La produttività incorporata della nazione cresce costantemente e a ritmo molto sostenuto (si sfornano brevetti a tutto spiano, per intenderci) ma la gran parte dei lavoratori non sta dietro a tutta questa innovazione e quindi la loro produttività (la “scorporata”) totale è calante, tuttavia la produttività incorporata cresce così tanto che in fondo quei pochi lavoratori che riescono a starle dietro, sono sufficienti a far crescere la produttività complessiva della nazione (es.: si inventa il PC, pochi imparano a usarlo, ma quei pochi sfornano subito anche un PC che esegue molte delle sue funzioni da solo, e quindi rende inutile che anche gli altri lavoratori lo imparino ad usare).

 

Bene, vedremo ora come tale combinazione influisce fortemente  sulla possibilità di un governo di attuare una politica efficace (di destra o di sinistra che sia) per uscire dalla crisi, lasciando così spazio, col suo fallimento, al populismo.

Nella nostra ipotetica nazione c’è una crisi economica (non importa il motivo). In una crisi economica, PIL in calo, ci perdono tutti: quelli con la Ferrari forse perdono di meno, quelli con l’utilitaria probabilmente non potranno permettersi più neanche quella, ma non importa la differenza: quello che conta è che entrambi vogliono senz’altro uscire dalla crisi perché non conviene comunque a nessuno.

Il Governo cerca allora una soluzione. Ora, non chiedetemi perché (chi è interessato a capirne le ragioni tecnico-economiche può  trovale nel mio citato saggio*), fate per ora un atto di fede e sappiate che, se quel governo è di destra, tenderà ad applicare una politica monetarista, se di sinistra una politica keynesiana.

 

Torniamo quindi al nostro Governo non populista e iniziamo da quello di destra. Applicherà, dicevamo, una politica monetarista. Essa, sintetizzando anche qui allo spasimo per i non addetti ai lavori, consiste nel favorire tassi di interesse bassissimi e facilità di accesso al credito per le imprese.

Per evitare però le spinte inflattive che inevitabilmente sono legate ad una circolazione di moneta ampliata, il governo cerca di comprimere temporaneamente i consumi della popolazione e la spesa pubblica. La scommessa è che, seppur momentaneamente gli strati più bassi della popolazione stanno peggio, le imprese grazie al denaro facile a disposizione, innoveranno, investiranno e creeranno nuova occupazione e quindi risolleveranno anche le sorti degli strati più bassi e faranno uscire il paese dalla crisi.

Se il Governo invece è di sinistra, applicherà, abbiamo detto, una politica keynesiana, ovvero (mi si perdoni la solita super sintesi), non aumenterà la circolazione di moneta evitando così spinte inflazionistiche, e prenderà i soldi a debito da chi nella popolazione li ha, e li investirà in opere pubbliche e infrastrutture ridando così subito lavoro agli strati più bassi della popolazione e sperando che questo stimoli anche le imprese private ad investire e quindi ad assumere ancora più lavoratori, scommettendo dunque in un circolo virtuoso che farà così uscire dalla crisi la nazione.

Bene, nel mio saggio* dimostro come, se una nazione ha una “struttura della produttività” di tipo (3), può permettersi di attuare efficacemente sia una politica di destra che di sinistra per uscire da una crisi: la nazione reagirà comunque bene ridando pian piano anche lavoro a chi lo aveva perso ed evitando che la crisi si avviti su se stessa producendo con alta probabilità un malcontento generale prolungato e quindi l’emergere del “santone” di turno che promette il bene contemporaneo di tutti a tutti e forma quindi un partito populista che andrà al governo creando il disastro: cercherà infatti, di accontentare un po’ la categoria di sinistra e un po’ quella di destra col risultato di non concludere nulla (come abbiamo visto, quelli con la Ferrari e quelli con utilitaria hanno esigenze diverse) e di scontentare quindi tutti, facendo piombare la nazione in uno stallo che aggraverà vieppiù la crisi e il malcontento di tutti, Ferraristi e “utilitaristi” (mi si passi l’uso improprio ma assonantico del termine).

Se una nazione ha una “struttura della produttività” di tipo (1), invece, potrà permettersi di attuare sia una politica di destra che di sinistra ma se sceglie una politica monetarista, essa sarà efficace solo se la accompagnerà con una tassazione lievemente superiore che finanzi l’aumento della produttività “scorporata”, cioè, nel nostro esempio dei lavoratori che devono usare il PC, per esempio finanziando corsi per insegnar loro ad usare ancor meglio il PC, magari innovando essi stessi la tecnologia esistente. Se non lo farà, il risultato sarà l’inefficacia della politica monetarista e quindi una probabile inflazione e stagnazione (stagflazione) con avvitamento della crisi anziché una sua soluzione.

Se una nazione ha una “struttura della produttività” di tipo (2), infine, essa dovrà evitare nel modo più assoluto una politica monetarista pura ed anche una politica keynesiana pura (cioè finanziata con aumento debito pubblico): l’unica soluzione per essa è far tornare a salire la produttività scorporata nei modi visti. Se non lo farà, il risultato sarà una crisi prolungata in cui troveranno delusione sia i sostenitori di destra che di sinistra, con la conseguenza che il formarsi di un partito populista che porti al disastro finale la nazione, diverrà altamente probabile.

Una nazione del tipo (3) è gli USA. Una nazione del tipo (1) è la Germania.

Una nazione del tipo (2) è l’Italia.

 

 

Fabrizio V. Catullo

 

*  “Monetarism, Populism, Keynesianism: a productivity matter. And a way out” – di Fabrizio V. Catullo, in distribuzione gratuita su Kobo Books: https://www.kobo.com/it/en/ebook/monetarism-populism-keynesianism-a-productivity-matter-and-a-way-out?fbclid=IwAR0yBkIBSm7IqICRXCxO1q_GZaD5ViOlgpRarLpvBpzsL-t_VAyhxxgpPpM

Stessi principi ma in modo più semplice e generale sono anche presenti nel saggio: “Exclusivity: Economia e Politica spiegate in modo semplice”, disponibile su Feltrinelli: https://www.lafeltrinelli.it/exclusivity-teoria-generale-di-economia-ebook-fabrizio-v-catullo/e/9786050303124