Sbugiardati i Cinquestelle: Italia meno povera dopo lo stop al Reddito di cittadinanza

Secondo l’Istat il rischio di indigenza scende di oltre un punto. Ora le liberalizzazioni e una vera riforma fiscale per far ripartire il Pil

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Povertà reddito di cittadinanza

Come dimenticare la tragicommedia del balcone dei Cinquestelle da cui, era il 27 settembre del 2018,  Luigi Di Maio allora vicepremier e responsabile del Lavoro del governo Conte annunciava festante la sconfitta della povertà in Italia, facendo il segno di vittoria con le dita. Sul lato opposto si ergeva felice l’allora titolare dei trasporti Danilo Toninelli.

Sappiamo bene come è andata: la situazione non ha fatto che peggiorare per numero di famiglie in difficoltà complice anche l’incendio dell’inflazione appiccato dalla guerra in Ucraina. Il trend negativo si è poi arrestato al 2023, cioè proprio quando è stato deciso di cancellare il Reddito di Cittadinanza, l’allarme povertà in Italia è iniziato a calare.

A fare i conti non sono i politici o i partiti ma l’Istat, quindi un istituto super partes, considerando l’effetto complessivo della mini riforma fiscale introdotta dal governo Meloni con le nuove aliquote e il regime dei bonus per i meno abbienti.

Per la precisione, scrive l’Istituto di Statistica, lo scorso anno è migliorata l’equità della distribuzione del reddito. Lo dimostra l’indice di Gini: il parametro, che misura la diseguaglianza, si è infatti ridotto dal 31,9 al 31,7 percento. Non molto, ma un inizio. E soprattutto il rischio povertà è calato dal 20 al 18,8%, cioè di un punto percentuale abbondante.

Non solo, oltre nove famiglie su dieci (92,3%) che ricevono l’Assegno unico e universale per i figli a carico stanno meglio rispetto al 2022, grazie ai 719 euro in più su base annua che si sono trovate in media in tasca. Senza contare che, stima sempre l’Istat, le famiglia a godere dei benefici maggiori sono state davvero quelle più indigenti.

Le statistiche offrono una fotografia d’insieme, che andrebbe osservata da vicino per coglierne ogni sfumatura e criticità. Ha poi probabilmente aiutato il riscatto la marcata crescita che il Pil ha messo a segno lo scorso anno, complici il fondi del Pnrr.

Colpisce però che la fotografia della miseria in Italia sia diventata un po’ meno tetra proprio al ritiro del sussidio di Stato che, secondo Conte e Di Maio, avrebbe invece dovuto rappresentare la panacea per gli indigenti. Nel 2023 circa un milione di famiglie si sono viste cancellare o ridurre il reddito di cittadinanza.

Insomma nei dati Istat c’è un’altra conferma di come l’assegno grillino sia stato un enorme spreco di risorse pubbliche. Un’elemosina di Stato, a volte anche ottenuta con frode da imbroglioni che non ne avevano alcun diritto. Persone, spesso già all’attenzione delle Procure nazionali, che hanno truffato il Paese con l’esito di “rapinare” gli altri contribuenti.

Perché i soldi per finanziare il Reddito venivano prelevati, come quelli per tutte le altre spese o investimenti nel bilancio dello Stato, dalle nostre tasse. Il tutto in Paese dove il peso del fisco è fuori controllo e finisce per essere un cappio al collo di famiglie e imprese.

Per approfondire leggi anche: Straordinari e smart working così gli italiani abbattono il carovita. Qui invece la nuova Patente a punti per la sicurezza nei cantieri che rischia di mandare in tilt il settore dell’edilizia.

Vale la pena ricavare una lezione: se si vuole aiutare le classi più disagiate, occorre lasciar correre l’economia, spingere gli imprenditori a investire con un contesto anche legislativo semplice e certo, tagliare le unghie ai burocrati, favorire i giovani e la flessibilità sul lavoro, valorizzare le nuove idee e i talenti. Diversa è la situazione di anziani in difficoltà, malati o fragili che un Paese civile non può certo abbandonare. Anzi: che ha il dovere di aiutare.

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