Noi facciamo i dati ma cosa possono fare i dati per noi?
I dati sono il sangue che scorre nelle vene dell’economia digitale, la nuova valuta da cui dipende la ricchezza odierna delle aziende ed ora è arrivato il momento di renderla la ricchezza anche dei loro produttori: i consumatori. È grazie ai nostri dati che le aziende tecnologiche come Google, Facebook e Amazon si sono evolute fino a diventare tra le aziende con il più alto tasso di rendimento al mondo usando i dati dei consumatori per guidare la redditività ed influenzandone le decisioni razionali.
Quando si parla di data value, inteso come valore economico dei dati, la maggiore difficoltà è quella di attribuire una materialità ed un valore ad un concetto che rischia di rimanere sospeso nell’etere. Eppure sono impressionanti i numeri che dimostrano come la dimensione del fenomeno economico che si nasconde dietro di esso e che spiegano perché ogni produttore di dati, il consumatore, dovrebbe seguire con attenzione civica il loro percorso economico.
Secondo le stime dell’UE il valore dell’economia dei dati passerà dai 301 miliardi del 2018, a 829 miliardi nel 2025. Questo boom sarà supportato da uno spaventoso aumento del volume di dati accumulati, dai 33 zettabytes del 2018 fino ai 175 zettabytes previsti entro il 2025. Pensiamo solo che più del 90% dei dati oggi disponibili al mondo è stato prodotto negli ultimi quattro anni.
Il primo punto da conoscere per capire quale possa essere il valore di un dato è che non esiste una misurazione che prescinda dal suo concreto utilizzo. A seconda delle necessità del momento, un determinato dato può assumere differente rilevanza, anche a distanza di tempo in quanto non è soggetto all’usura del tempo.
Infatti, sarebbe estremamente problematico riuscire, volta per volta, a quantificare il valore dei singoli dati prodotti dagli utenti e ciò per diversi motivi: ogni utilizzatore di dispositivi elettronici e di internet produce dati continuamente, in quantità variabile e difficilmente prevedibile, nonché in contesti differenti. Uno smartphone, ad esempio, raccoglie ed elabora dati durante la navigazione su Internet, mentre cammina, utilizza i social, quando entra in un negozio, quando utilizza il navigatore, quando scarica un’applicazione etc.
Il listino prezzi dei dati
Uno studio pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale ha evidenziato come non esista, nel mondo della digital economy, nulla di veramente gratuito. Le piattaforme online offrono beni e servizi apparentemente gratis, in cambio dei dati dei consumatori, che vengono trasformati in modo da renderli monetizzabili.
A partire dalle informazioni anagrafiche, ad esempio, il costo di una persona di età compresa tra 18 e 24 anni è superiore rispetto ad una persona di età compresa tra 25 e 34 anni, soprattutto perché più si è adulti, più è probabile che il proprio reddito sia vincolato a bollette e altri impegni finanziari. I dati delle persone più giovani hanno un valore più alto, con i grandi marchi che son disposti a pagare fino a $14,25 milioni ogni anno per attirare un pubblico giovane, per un equivalente di $ 0,36 a persona, il triplo rispetto al valore pagato per la fascia tra i 25-34 anni che costano “solo” $ 0,11 o $ 7,7 milioni all’anno.
Il prezzo che le aziende sono disposte a pagare per i dati degli uomini è leggermente superiore a quelli delle donne. Ogni anno vengono spesi 24,6 milioni di dollari per i dati degli uomini, rispetto ai 23,3 milioni di dollari delle donne. I dati di un uomo costano 0,15 dollari, mentre quelli di una donna costano 0,14 dollari.
I dati con meno valore sono quelli delle persone di età superiore ai 55 anni il cui valore scende a $ 0,05 a persona, o $ 5,2 milioni all’anno, in quanto le aziende sono disposte ad investire meno in una fascia in cui le persone sono vicine alla pensione e il loro reddito potrebbe potenzialmente diminuire.
Anche la fascia di reddito influisce sul valore dei propri dati: quelli che guadagnano meno di $ 10.000 all’anno sono valutati $ 0,10, probabilmente perché sono giovani studenti. Il valore non aumenta proporzionalmente quando aumenta il reddito, infatti i dati delle persone che guadagnano fino a $ 19,999 all’anno valgono $ 0,03 mentre chi guadagna fino a $ 119,999 il valore si ferma a $ 0,04. Il grande salto si compie quando le persone guadagnano tra i $120.000 e $ 149.999 che arrivano a valere fino a $ 0,33 a persona.
Il valore dei dati nel dark web
Al giorno d’oggi gli utenti sono alla stregua dei data broker, si stima ne esistano più di 4.000, con alcuni “super data brokers” che guidano il mercato, come Acxiom, Oracle, Nielsen, Experian e Salesforce. Un rapporto di maggio 2021 della Taskforce on Innovation, Growth and Regulatory Reform del Regno Unito stima che un singolo indirizzo e-mail possa valere fino a $89, e che i dati prodotti da una persona valgono sul mercato in media fra i $2.000 – $3.000.
La pubblicazione del report di Privacy Network, associazione di promozione sociale che si occupa di aumentare la consapevolezza sui temi che riguardano privacy, cybersecurity, nuove tecnologie e l’impatto che queste hanno sui diritti fondamentali delle persone, mette in evidenza il Dark Web Price Index 2021 che va dai dati più classici come carte di credito, documenti d’identità o account PayPal, fino ad arrivare ad account Netflix, crypto, o social networks. Una lista con più di 500.000 email sul mercato nero costa poco più di 40 dollari. Un account Facebook circa $65, contro i $45 di Instagram e $35 di Twitter. Tra i dati più costosi ci sono i passaporti, che arrivano a costare fino a $6.500 l’uno.
Anche Kaspersky, tra le principali aziende di sviluppo software antivirus, ha reso pubblici i risultati della ricerca annuale sulle abitudini degli utenti nell’approccio ad internet che mostra come si stia evolvendo il commercio dei dati personali nel dark. Ne emerge che il valore medio dei dati salvati sui computer e sui dispositivi mobili degli utenti è di € 612.
Sempre secondo la ricerca i dati identificativi hanno un costo compreso tra 40 centesimi e 8 euro. In questa categoria di dati rientrano il nome completo, il codice fiscale, la data di nascita, l’indirizzo e-mail e il numero di cellulare. I selfie con i documenti (passaporto o patente) vale tra i 33 e 50 euro, con la scansione della patente, invece, è possibile ottenere tra 4 e 21 euro.
I dati del conto corrente bancario sono venduti a circa 1/10% del suo valore. Un account PayPal, invece, vale tra 42 e 418 euro. Per i dettagli della carta di credito è possibile ottenere dai 5 ai 16 euro. Per quanto riguarda i dati d’accesso ad un servizio d’abbonamento, la quotazione del dark web è compresa tra 40 centesimi e 7 euro.
Sono iniziati a circolare anche Green Pass e dati relativi alle vaccinazioni COVID. Il loro valore sul mercato nero? Tra i 110 e 130 euro.
Cosa possono fare i dati per noi?
I dati svolgono un ruolo importante nella trasformazione digitale, diventati parte integrante dei servizi digitali plasmano la nostra vita quotidiana e l’economia.
Il Parlamento europeo ha approvato una legislazione sul tema per garantire che persone, imprese, ripresa e transizione beneficino di una strategia dei dati efficiente per offrire opportunità in diverse aree.
A partire dall’industria in cui i dati consentono alle compagnie di innovarsi, sia attraverso un’analisi migliore delle esigenze delle persone sia offrendo prodotti nuovi. I dati personali sono fondamentali per l’operatività di app e piattaforme, un utilizzo migliore dei dati industriali potrebbe portare ad ottimizzare la produttività e aiutare a tagliare i costi prevedendo per esempio le vendite e la conservazione dei prodotti negli stabilimenti “smart” portando ad una maggiore crescita economica.
All’ambiente, secondo la commissione europea i dati raccolti dai satelliti possono migliorare la ricerca e aiutare l’UE a ridurre le emissioni di gas a effetto serra, a prevenire e a rispondere ai disastri naturali come gli incendi. Migliorare l’efficienza della produzione nell’industria dovrebbe diminuire le emissioni e i rifiuti.
Pensate alla salute che grazie ai dati forniti dalle cartelle cliniche rese anonime o i dati immessi nelle app da parte dei pazienti possono fornire migliori diagnosi, cure più efficati e sviluppo dei medicinali abbassandone il costo.
Nei trasporti in quanto grazie ai dati raccolti dal GPS e dai social media possono mitigare la congestione del traffico, che a sua volta contribuisce a risparmiare tempo, carburante oltre a diminuire le emissioni di CO2 e un migliore benessere sociale.
Nel settore finanziario, i dati diventano inclusivi per tutti quei consumatori esclusi, per mancanza di storia creditizia, dall’accesso al credito, i footprint potranno contribuire a rendere il sistema finanziario stabile e l’accesso ad un maggiore numero di persone al credito grazie anche a fintech come Fido che attraverso la raccolta dei dati (fino a 150 tipi) aumentano la capacità di valutazione dell’affidabilità creditizia.
Conclusioni
È evidente come la capacità dei dati di restituire un valore aggiunto sia ai privati sia al benessere pubblico non possa essere ritenuta una questione secondaria, ma necessiti di essere risolta al più presto con una soluzione condivisa che, da un lato, compensi anche indirettamente i produttori dei dati e, dall’altro, non comporti una limitazione per il settore economico che maggiormente contribuisce alla crescita economica e allo sviluppo tecnologico a livello mondiale.
È necessario risolvere il paradosso secondo il quale le informazioni che rilasciamo diventano un bene pubblico trasformate poi in private da soggetti che le sfruttano per ottenere un valore economico privato.
Al momento esistono però delle soluzioni redistributive private che attraverso piattaforme innovative permettono la raccolta dei propri dati per rendere l’utente consapevole di quali informazioni personali circolino in rete.
Come e.legacy il cui scopo è quello di farci riprendere pieno possesso dei nostri dati e predisporne addirittura la propria eredità digitale evidenziando ancora il prezioso valore dei nostri dati.
Ed EcoSteer che grazie alla Blockchain si occupa di proprietà e monetizzazione dei dati. Attraverso la sua Data Ownership Platform (DOP) ci permette non solo di recuperare il pieno controllo ma anche di guadagnare dai nostri dati in circolazione creando di fatto una nuova “economia dei dati” più inclusiva in cui non sono solo le grandi aziende a trarne profitto ma anche noi consumatori.
Deborah Ullasci