Senza scuola

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Senza scuola. Le palestre? Aperte. I centri estetici? Aperti. Gli stand per il tiro al piattello? Aperti. Il campionato di calcio? Riparte. Le scuole? No, le scuole no. Restano ermeticamente chiuse e riapriranno forse solo a settembre con rigide misure di sicurezza sanitaria.

Eppure le scuole in Francia, Germania, Austria, Svizzera, hanno tutte riaperto le aule all’inizio di maggio ai primi segni di contenimento dell’epidemia. In Italia invece, nonostante il 90% del territorio fosse ormai praticamente al riparo dal virus, si decideva il blocco totale di lezioni ed esami. La scuola è stata messa ancora una volta all’ultimo posto.

Ci sono tutte le condizioni per considerare irresponsabili quanti dovrebbero avere la responsabilità di difendere e valorizzare l’educazione. Irresponsabili in due prospettive. Incapaci di cogliere le conseguenze delle proprie scelte e incapaci di assumersi la responsabilità di decisioni altrettanto difficili quanto doverose.

I responsabili della scuola italiana, di ogni ordine e grado, hanno perso una grande occasione per dimostrare la loro attenzione al sistema dell’educazione e la capacità di adottare le scelte conseguenti. Meglio chiudere, e lavarsi pilastecamente le mani, piuttosto che rischiare di fare il proprio dovere.

I danni saranno incalcolabili, ma sicuramente gravi, per ragazzi e adolescenti costretti a sei mesi di blocco totale delle attività educative. Certo, per qualcuno si è in parte rimediato con le lezioni a distanza, ma questo di fatto ha aumentato le disuguaglianze tra chi poteva permettersi spazi, aiuti e dotazioni tecniche e chi invece è stato praticamente lasciato a se stesso, costretto a passare le giornate davanti alla televisione con i suoi ben programmi ben poco educativi.  Per tutti è mancato il rapporto umano non solo con i docenti, ma anche con i compagni di classe con cui si instaura sempre una relazione insieme conflittuale e costruttiva. La scuola non è solo apprendimento, nozioni e poesie imparate a memoria. La scuola è l’introduzione alla complessità del mondo, ai valori dei rapporti umani, al significato delle proprie emozioni.

Nella scuola l’emergenza avrebbe dovuto durare il meno possibile, anche perché in tutto il mondo bambini e ragazzi hanno dimostrato di essere praticamente immuni al virus e oltretutto in gran parte delle regioni italiane, dopo la prima fase, l’epidemia non ha fatto registrare grandi numeri ed in molti casi è stata tempestivamente localizzata ed isolata.

Riaprire le scuole avrebbe certamente richiesto una chiara assunzione di responsabilità: adottare semplici misure di sicurezza, compiere scelte adeguate ai rischi di contagio nei singoli territori, attuare controlli frequenti sullo stato di salute di studenti e scolari. La scuola è ben più importante, con tutto il rispetto, di un centro estetico o di una palestra: eppure a questi sono stati riservati attenzioni e protocolli pur di farli riaprire il prima possibile.

Già da tempo la scuola italiana si trova agli ultimi posti nelle classifiche internazionali sulle capacità di apprendimento e non sono mancati richiami per investire risorse e competenze per migliorare strutture e metodi educativi. Ecco, per esempio, quanto ha detto nei giorni scorsi il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle sue considerazioni finali: “Come da troppi anni si sottolinea, va migliorata la qualità del capitale umano, affrontando i problemi di fondo del sistema scolastico, dell’università e della ricerca. Investire in conoscenza è importante: siamo al penultimo posto nell’Unione europea per quota di giovani tra i 25 e i 34 anni con un titolo di studio terziario, al primo per incidenza di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. È una perdita di opportunità individuali che espone al rischio di esclusione ed è uno spreco per la collettività”.

Ma le scuole rimangono chiuse. L’istruzione è rimasta agli ultimi posti nelle misure da prendere per uscire dalla pandemia. Accentuando un fattore di crisi, quello della formazione umana dei giovani, che, purtroppo, sarà difficile recuperare nei prossimi anni. E che inciderà sulle possibilità di crescita non tanto economica, ma umana e sociale del Paese.

 

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