Le imprese del made in Italy sono a secco, strozzate sul fronte dei prestiti dalla Banca centrale europea di Christine Lagarde e dal suo indefesso rialzo ai tassi di interesse: dieci volte in 14 mesi. Un cappio al collo della crescita a cui l’Eurotower ha concesso, bontà sua, una pausa solo la scorsa settimana. A denunciare il credit crunch è l’ufficio studi della Cgia di Mestre, cioè una delle voci più accreditate del mondo artigiano: nell’ultimo anno gli impieghi bancari alle imprese italiane sono diminuiti del 7,7%, pari in termini assoluti una contrazione di quasi 56 miliardi. E la frenata più forte (-8,7%) è stata per le realtà imprenditoriali che hanno meno di venti addetti.
A essere messa maggiormente in difficoltà è quindi la spina dorsale della stessa azienda Italia, composta in più di nove casi su dieci da piccole e micro-realtà (98%), con prevedibili conseguenze sul fronte della liquidità e degli investimenti. Tre in estrema sintesi le cause:
- l’aumento dei tassi Bce ha reso molto costoso indebitarsi e indotto le imprese a forme di autofinanziamento;
- la flessione della domanda dei prestiti, come riflesso di un Pil che ormai avanza zoppicando;
- le banche hanno meno liquidità a disposizione, perchè la raccolta sta diminuendo e perchè devono restituire alla Bce altri 174 miliardi di Tltro (i fondi agevolati dell’Eurotower finalizzati a diventare prestiti a famiglie e aziende)
Gli istituti di credito hanno quindi stretto i cordoni dei prestiti, iniziando proprio da quelli erogati alle piccolissime imprese, perchè di norma più “complicati” sia come costi di istruttoria sia da gestire. Il problema però è che un artigiano, un negozietto o una partita Iva se non ha soldi in cassa, non può fare investimenti. O ancora peggio potrebbe ritardare i pagamenti ai fornitori o nei casi più critici non versare più con regolarità gli stipendi ai dipendenti. Insomma, una mancanza di liquidità che potrebbe provocare una recessione. Il classico fiocco di neve che diventa una slavina.
La Cgia fa quindi il suo lavoro di lobby e bussa alla porta del governo, chiedendo di rifinanziare il Fondo di Garanzia per le pmi che era stato potenziato all’acme del Covid: tra il marzo 2020 e giugno 2022 ha garantito più o meno 256 miliardi di prestiti. Un appello, quello degli artigiani veneti, non facile da accogliere. La Legge di bilancio che già poco o nulla fa per la classe media e la prudenza a cui è chiamata l’Italia sui conti pubblici lasciano margini di manovra molto stretti, anche in vista degli imminenti esami sul rating con Fitch e Moody’s. Vale però la pena un supplemento di indagine per capire a fondo come invertire un rallentamento del Pil che rischia di scappare di mano, considerando una Germania, cioè il principale partner commerciale del nostro Paese, già in recessione. Oggi le piccole imprese del made in Italy più a secco risultano essere quelle della dorsale adriatica e quelle delle province di Bergamo, Varese, La Spezia e Lecco, tutte alle prese con una stretta tra i 12 e i 13 punti percentuali.
Nel prendersi una pausa al rialzo dei tassi, Cristine Lagarde aveva citato Edith Piaf, rimarcando che non essersi pentita di nessuna delle scelte compiute agli ordini dei falchi del rigore per combattere l’inflazione. Peccato che la cantautrice francese con il suo celebre “non, rien de rien Non, je ne regrette rien“, parlava di amore; mentre madame Bce ha in mano il destino dei nostri risparmi, delle nostre case, del nostro lavoro e delle nostre imprese. E che il costo della vita mandasse già da tempo segnali di rallentamento.