Stellantis apre il mercato europeo alle auto cinesi. Ma rischia l’autogol

Accordo con Leapmotor, si parte da nove Paesi Ue tra cui l’Italia. L’incognita dei dazi

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Stellantis Cina

Altro che produrre un milione di auto in Italia. Stellantis diventa la “concessionaria” europea dell’alleata cinese LeapMotor. L’accordo prevede che il gruppo franco-italiano commercializzi i mezzi della casa asiatica nel vecchio continente.

Si partirà a settembre da nove Paesi – tra cui Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Belgio – per poi progressivamente ampliare il progetto. Si parla di coinvolgere inizialmente almeno 200 concessionarie Stellantis & You per portarsi in un secondo momento a 500 punti vendita. A fornire i dettagli dell’accordo, incardinato nell’ottobre del 2023, è stato lo stesso amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares.

Va detto che tutte le multinazionali ragionano su scala globale e che così vuole il mercato. Non solo, Stellantis ha acquistato il 20% di Leapmotor, con un esborso di 1,5 miliardi e controlla la joint venture italo-cinese schierata sul progetto con una quota del 51%.

La decisione di aprire le porte del mercato europeo a Pechino potrebbe però rivelarsi un boomerang per la casa franco-italiana. Perchè le auto assemblate sotto la Grande muraglia possono potenzialmente essere proposte ai consumatori a un prezzo di listino inferiore rispetto a quelle made in Europe.

In Asia molto inferiore è infatti il costo del lavoro e sono più economiche anche energia e materie prime. Non è un mistero che Pechino sia un super-consumatore di carbone e di nucleare per coprire il proprio fabbisogno elettrico.

In sostanza, è palpabile il rischio che le e-car di Leapmotor soppiantino nelle preferenze degli automobilisti europei veicoli come la Panda elettrica che Stellantis si appresta a realizzare in Serbia. Al momento sono infatti previste: una compatta, un suv a cui si aggiungerà almeno una novità ogni anno lungo da qui al 2027.

I prezzi, secondo alcuni analisti del settore auto potrebbero aggirarsi tra i 15 e i 25mila euro, quindi decisamente meno della gran parte delle concorrenti europee. Anche se molto dipenderà da quale allestimento sarà scelto per il nostro mercato.

Tavares ha assicurato che non ci sarà condivisione di tecnologia. Anzi Stellantis punta probabilmente a recuperare terreno sull’elettrico. Sulla partita pende poi la grande incognita dei dazi Ue. Perché se Bruxelles seguisse l’esempio di Washington, una via di uscita industriale potrebbe essere mettersi a produrre a pieno ritmo le auto del Dragone sul suolo europeo, appoggiandosi sulla sovra capacità produttiva degli impianti Stellantis.

Fare una tale mossa in autonomia finirebbe però per esacerbare il già duro scontro in atto tra Stellantis e il governo italiano, determinato a preservare almeno quello che resta degli stabilimenti dal Piemonte alla Basilicata e di riportare la produzione annua nazionale a quota un milione di veicoli. Giova ricordare che Mirafiori, lo stabilimento simbolo della vecchia Fiat, resterà paralizzato fino a settembre.

Diverso sarebbe invece se Stellantis o la sua joint venture cinese decidessero di investire in Italia. Da qui la conclusione, ribadita dal ministro delle Imprese Adolfo Urso, che per il nostro Paese è “assolutamente necessario” avere “almeno un altro produttore” di auto. Al momento l’esecutio ha in corso contatti con la cinese Dongfeng.

Senza contare il problema dell’Italian sounding che ha già costretto Stellantis a ritirare il nome “Milano” per il nuovo Suv Alfa Romeo e ad accontentarsi di “Junior”.

E le nubi che si affollano sull’ideologia delle auto con la spina e il flop sul fronte delle vendite. Come dimostrano la retromarcia di Mercedes, che continuerà a  produrre motori a benzina anche dopo il 2035 e il cortocircuito da 10 miliardi rimediato da Renault con lo stop alla quotazione di Ampere.

Martedì 28 maggio Urso ha convocato un tavolo al ministero sulla situazione di Pomigliano e subito dopo su quella di Cassino. Sono (caldamente) attesi all’appuntamento i rappresentanti di Stellantis, che confronteranno con i sindacati, le Regioni interessate e con l’Anfia, l’associazione che raccoglie la filiera dell’automotive.

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L’incontro segue in calendario quelli svoltisi ad aprile per l’analisi degli stabilimenti di Melfi, Mirafiori e Atessa. Risoltisi sostanzialmente tutti con un nulla di fatto.

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