La situazione in Ucraina sembra possa precipitare nelle prossime ore, nonostante la diplomazia stia cercando ancora una soluzione di compromesso. Dopo il primo ministro francese e quello tedesco, questa settimana sembra toccherà a Mario Draghi giungere al “capezzale” di Putin, che prima ne chiede esplicitamente un intervento, salvo poi fare fatica a trovare spazio in una agenda ricca di appuntamenti.
Vedremo se Super Mario riuscirà nell’impresa di diminuire le distanze, non solo fisiche (è lungo 6 metri il tavolo degli incontri bilaterali) tre le parti in causa. Intanto i circa 200.000 soldati ammassati ai confini dell’Ucraina fanno aumentare le preoccupazioni riguardo un’invasione. Secondo Andrew Wilson, analista di affari economici russi al Consiglio Europeo per gli Affari Esteri, il creare forti tensioni per avere delle concessioni era ““..the standard not just Russian but Soviet method: brinkmanship…”.
Brinkmanship
Per brinkmanship si intende la strategia di creare delle forti pressioni psicologiche, compiendo delle azioni pericolose fino a condurle sull’orlo del precipizio con l’obiettivo di ottenere il massimo delle concessioni possibili. Nella strategia militare, si arriva a minacciare un conflitto armato con possibili esiti catastrofici, sottoponendo l’avversario al massimo della pressione con la finalità di indurlo ad effettuare delle concessioni.
Nel caso pratico il brinkmanship consiste nel muovere delle truppe con grande dispiego di uomini e mezzi, come se non si fosse disposti ad alcuna negoziazione, ma si spera segretamente che l’avversario si arrenda alle richieste del potenziale aggressore.
Sullo sfondo delle tensioni Russia/Ucraina, ed implicitamente USA, osservatore interessato è anche la Cina. Xi Jinping sta cercando di capire se l’America, dopo aver abbandonato l’Afghanistan, è disposta a far lo stesso con l’Ucraina. Se così fosse la prossima mossa che dobbiamo aspettarci sullo scacchiere geopolitico è che il presidente cinese dia il via libera all’annessione di Taiwan che, dal punto vista strettamente economico, vuol dire accaparrarsi quasi l’intero mercato mondiale dei semiconduttori con tutti i rischi che ne conseguono dal punto di vista della sicurezza nazionale, dal momento che i chip sono onnipresenti nelle nostre case, uffici, strade, automobili ecc.
Ucraina
L’ ucraina però non è la sola preoccupazione dei mercati finanziari: l’indice MSCI World (indicatore dell’andamento delle borse mondiali) è in calo da inizio anno del 7,7% con perdite guidate anche dalle preoccupazioni che una inflazione in aumento, e le conseguenti decisioni della FED, possono impattare negativamente sull’andamento dell’economia americana e mondiale e sui profitti delle aziende quotate.
Da un punto di vista strettamente economico, gli operatori sono fortemente preoccupati dell’impatto che una invasione dell’Ucraina avrebbe in termini di aumento dei costi dell’energia: la Russia è infatti il primo fornitore di gas all’Europa e uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo. Sull’onda di questi timori il prezzo del petrolio è tornato a livelli che non si vedevano dal 2014 e a poco è valso il raffreddamento dei prezzi delle ultime ore legato alle notizie di un possibile accordo sul nucleare iraniano.
Con una inflazione statunitense ai massimi degli ultimi 40 anni, una impennata dei prezzi dell’energia potrebbe mettere ulteriore pressione alla Federal Reserve ad agire con aumenti dei tassi superiori a quanto già scontato dai mercati e a terminare prima del previsto il reinvestimento dei titoli in scadenza presenti nel suo bilancio.
Le discussioni dei membri della FED su quanto aumentare i tassi andranno avanti ancora per qualche settimana in attesa del prossimo meeting previsto per il 15/16 marzo. Nel frattempo avranno a disposizione oltre ai dati dell’inflazione di febbraio anche quelli sui nuovi occupati e dovranno inoltre valutare i potenziali effetti della guerra in Ucraina in termini di rallentamento economico.
Come deve comportarsi l’investitore di fronte a questo scenario?
E’ opportuno fare un checkup del portafoglio per verificare se tutto quanto “messo sul tavolo” in fase di costruzione dell’asset allocation (obiettivi, orizzonte temporale, profilo di rischio, massima perdita sopportabile, ecc) sia ancora di attualità. Qualora così fosse è probabile che non ci siano motivi oggettivi per cambiare strategicamente il portafoglio, ma si può comunque valutare qualche piccola operazione tattica per cogliere qualche opportunità o evitare rischi eccessivi.
Qualora invece il portafoglio sia stato costruito senza un chiaro metodo, presenti rischi di concentrazione su singole asset class/settori/aree geografiche, presenti una volatilità diversa da quanto desiderato o una perdita maggiore di quanto atteso, è opportuno ridefinire tutta la strategia con il proprio consulente finanziario.
Vito Ferito, 21 febbraio 2022