Il ministro Adolfo Urso punta dritto all’obiettivo di almeno un milione di auto prodotte in Italia, ma da Stellantis al momento riceve poco più che promesse. O meglio il big dell’auto franco-italiano sarebbe anche pronto a impegnarsi, ma batte ancora cassa allo Stato, orgogliosa degli 11 miliardi di surplus che ha assicurato dalla sua nascita alla bilancia commerciale del nostro Paese.
Un risultato certo lodevole ma forse Torino ha la memoria corta. Secondo un’analisi di Federcontribuenti, mai smentita dai diretti interessati, tra il 1975 e il 2012 la vecchia Fiat ha infatti ricevuto 220 miliardi dallo Repubblica Italiana a titolo di prepensionamenti, casse integrazioni, piani di rottamazione per svecchiare il parco circolante e incentivi alla realizzazione dei suoi impianti. Insomma, una donazione di sangue da parte dei contribuenti degna della migliore AVIS. Il tutto senza calcolare gli ultimi 12 anni.
Ma torniamo al tavolo dell’automotive tenutosi ieri al ministero delle Imprese. Stellantis conferma sia la centralità dell’Italia nei propri piani di sviluppo sia la sua “ambizione” di sfornare un milione di vetture lungo la Penisola. Tutto però ha un prezzo e Stellantis ha messo in chiaro il suo, lo Stato deve:
- cancellare l’impatto della direttiva Euro 7, è quella che impone ai costruttori nuovi investimenti per ridurre le emissioni dei motori endoterminici, comunque destinati a essere in prospettiva rimpiazzati dall’elettrico;
- stanziare sussidi per abbattere le bollette energetiche del gruppo e quindi rendere più competitivi gli impianti;
- rilanciare gli incentivi per le vendite vetture a spina, rimaste al palo nei primi 11 mesi di quest’anno;
- realizzare una rete di colonnine di ricarica molto più ramificata nel Paese, come prevede lo stesso Pnrr.
Malgrado l’ultimo sgarbo industriale di Stellantis di scegliere la Serbia per produrre la Panda elettrica, Urso risponde diplomatico, mostrando il portafogli. Nel fondo per l’automotive, spiega, ci sono 6 miliardi e altri 13 miliardi saranno stanziati nel piano di Transizione 5.0, poi ci sono i fondi del Pnrr. Ma il ministro del Made in Italy usa anche i muscoli e pianta per a prima volta un paletto preciso: le auto dovranno essere davvero prodotte in Italia. Basta insomma con gli incentivi alla rottamazione che, come è accaduto nel 2022, vanno in otto casi su dieci a favore delle case estere.
L’obiettivo politico del governo è comprensibile ma questo approccio sovranista mal si sposa con come dovrebbe funzionare il libero mercato. Senza contare che a cambiare dovrebbe essere prima di tutto la testa degli automobilisti: nel nostro Paese lo scorso anno sono state infatti immatricolate 1,4 milioni di vetture, di cui però appena un terzo made in Italy. Perchè il signor Rossi continua evidentemente a preferire il fascino delle tedesche o gli accessori delle giapponesi alle eredi della Fiat.
Non si può dimenticare che l’auto italiana è stata per decenni circondata da una alea di scarsa affidabilità. Al punto da essere oggetto di un feroce sarcasmo negli Stati Uniti, dove “Fiat” era diventato l’acronimo di “Fit it again Tony, (riparala ancora Tony)”. Insomma, secondo gli statunitensi, se guidavi made in Italy rendevi ricco e felice soltanto il meccanico. Naturalmente le cose sono cambiate e la geniale gestione di Sergio Marchionne, forse il miglior manager nella storia del nostro Paese, ha portato il Lingotto a comprare Chrysler e fatto nascere Fca, ma i pregiudizi sono duri a morire.
Poi con la sua scomparsa è finito anche il sogno di rilanciare un grande polo dell’auto al Lingotto e John Elkann ha pensato bene di consegnare le chiavi dell’azienda ai francesi: sebbene il primo azionista singolo di Stellantis sia Exor, la holding degli Agnellli con circa il 14%, lo Stato transalpino ha una strategica presa sul capitale prossima al 6 percento. E quando il governo di Mario Draghi aveva cullato l’idea di riequilibrare il gioco dei contrappesi schierando Cassa Depositi e Prestiti ha ricevuto una porta in faccia dall’amministratore delegato del gruppo, Carlos Tavares.
Tornando ad oggi resta in ogni caso da capire anche che cosa avranno da dire i produttori esteri dell’iniziativa tricolore di Urso, il primo appuntamento utile è il summit Unrae del 12 dicembre a Roma. E c’è da sperare che il negoziati con Stellantis, la filiera e le regioni interessate non si risolva in un altro nulla di fatto.