Economia

Vinitaly: mai così tanto vino italiano all’estero, 7,1 miliardi

È record storico per le esportazioni di vino italiano che registrano un balzo del 12% in valore nel 2021, sotto la spinta delle riaperture della ristorazione a livello internazionale, ma è allarme per la carenza di bottiglie e il caos nei commerci provocati dalla guerra. È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti su dati Istat in occasione del Vinitaly che ha riaperto i battenti in questi giorni a Verona dopo lo stop dello scorso anno causa covid.

Lo scorso anno le esportazioni di vino italiano hanno raggiunto il valore massimo di sempre con 7,1 miliardi, anche se questo record viene ora messo a rischio dagli effetti della guerra in Ucraina, tra sanzioni, blocchi, tensioni commerciali e aumento dei costi di produzione ma anche l’emergenza bottiglie con aumenti dei prezzi ma anche ordinativi a rischio con le consegne fortemente rallentate che potrebbero avere un impatto pesante sulle vendite all’estero che rappresentano la metà del totale.

In particolare la guerra in Ucraina mette a rischio quasi 150 milioni di euro di export di vino Made in Italy in Russia, nel 2021 avevano raggiunto il record storico con una crescita del 18% rispetto al 2020. L’Italia è il primo Paese fornitore di vino in Russia, con una quota di mercato di circa il 30%, davanti a Francia e Spagna. Oltre al Prosecco che nell’ultimo anno ha fatto registrare un boom del +55%, i vini più gettonati a Mosca sono l’Asti e i Dop toscani, siciliani, piemontesi e veneti.

Le sanzioni europee e hanno preso di mira le vendite di prodotti vinicoli sopra il valore di 300 euro ad articolo andando a colpire una selezione ristretta di vini italiani, come ad esempio alcune bottiglie di Sassicaia, Barolo, Amarone, Brunello di Montalcino che possono in alcuni casi superare il limite ma a preoccupare sono la svalutazione del rublo e soprattutto – è stato evidenziato al Vinitaly–con difficoltà nei pagamenti persino per gli ordini già effettuati.

Alcune spedizioni sono state interrotte, mentre un certo numero di operatori ha ridotto il periodo di differimento dei pagamenti o l’ha annullato del tutto, e nei ristoranti russi è già allarme per le scorte di bottiglie Made in Italy, divenute sempre più popolari. Ma non è così per tutti i mercati: le bottiglie tricolori, ad esempio negli Stati Uniti, hanno fatto registrare nel 2021 un aumento del 18% delle esportazioni confermandosi come il primo mercato di riferimento. Aumentate addirittura del 29% le vendite in Cina ma a trainare le bottiglie italiane oltre confine nel 2021 sono stati anche i consumatori europei.

In Francia, nel regno dello Champagne, le etichette Made in Italy hanno fatto registrare un +18%, mentre la Germania è cresciuta del +6%, restando il Paese che acquista più vino tricolore nel Vecchio Continente. Subito dietro la Gran Bretagna dove le vendite di bottiglie Made in Italy si sono mostrate più forti anche delle difficoltà causate dalla Brexit, con un aumento delle esportazioni del 5%, grazie soprattutto ai risultati del Prosecco.

Sul record del vino italiano pesa, infatti, l’irresistibile ascesa delle bollicine Made in Italy che nel 2021 sfondano quota 1,8 miliardi, con una crescita del 24%, secondo l’analisi Coldiretti. I migliori risultati sui principali mercati sono soprattutto quelli negli Stati Uniti, con un aumento delle vendite in valore del 33%, e quello francese, in aumento del 23%. Il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “per sostenere il trend di crescita dell’enogastronomia Made in Italy serve anche agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo”.

Una mancanza che ogni anno rappresenta per il nostro Paese un danno in termini di minor opportunità di export al quale si aggiunge il maggior costo della “bolletta logistica” legata ai trasporti e alla movimentazione delle merci. Ma un altro dato è emerso nel corso di questo Vinitaly: gli italiani riscoprono i vini autoctoni che occupano tutti i primi dieci posti delle bottiglie che hanno fatto registrare il maggior incremento dei consumi in volume, con il Lugana lombardo ad aumentare le vendite del 34% nell’ultimo anno, davanti all’Amarone (+32%) e al Valpolicella Ripasso (+26%) entrambi veneti.

E’ quanto emerge dall’analisi della Infoscan Census relativi all’anno terminante a gennaio 2022. Nel tempo della globalizzazione gli italiani bevono “patriottico” come dimostra il fatto che al quarto e quinto posto ci sono il Nebbiolo piemontese (+22%) e il Vermentino della Sardegna (+22%), davanti alla Ribolla del Friuli Venezia Giulia (+19%), al Sagrantino dell’Umbria (+16%), alla Passerina marchigiana (+14%), con Brunello di Montalcino della Toscana e Grillo di Sicilia a chiudere la top ten entrambi con una crescita del 13%.

Complessivamente l’ultimo anno fa segnare un incremento del 2,1% in valore delle vendite di vino nella Grande distribuzione, trainato soprattutto dagli spumanti che mettono a segno un balzo del 20% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si tratta della conferma della alta qualità offerta lungo tutta la Penisola grazie alla biodiversità e alla tradizione millenaria della viticoltura tricolore.

Nonostante questi risultati che registrano un indubbio successo per il nostro made in Italy, c’è ancora una quota non irrilevante di sofisticazioni nel settore dell’enologia: dal vino dealcolato a quello zuccherato, dal vino in polvere a quello alla frutta ma anche il finto rosato o il vino annacquato. Sono solo alcune delle ultime clamorose pratiche enologiche che si stanno diffondendo nel mondo, al centro della prima mostra “Non chiamatelo vino” nello stand della Coldiretti, favorite dall’estensione della produzione a territori non sempre vocati e senza una radicata cultura enologica che con la globalizzazione degli scambi colpisce direttamente anche i consumatori di Paesi con una storia del vino millenaria come l’Italia.

Un esempio è la scelta della Ue di autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol anche nei vini a denominazione di origine. In questo modo viene permesso ancora di chiamare vino un prodotto in cui sono state del tutto compromesse le caratteristiche di naturalità per effetto di trattamento invasivo che interviene nel secolare processo di trasformazione dell’uva in mosto e quindi in vino.

Ed ancora, tra le pratiche discutibili in molti paesi dell’Unione Europea e di oltre oceano c’è anche lo zuccheraggio del vino, che è ad esempio permesso nell’Unione Europea ad eccezione di Italia Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro, Malta e in alcune aree della Francia ma che rappresentano però circa l’80% della produzione comunitaria. Negli Stati Uniti è addirittura consentita l’aggiunta di acqua al mosto per diminuire la percentuale di zuccheri secondo una pratica considerata una vera e propria adulterazione in Italia.

Miscele di vini da tavola bianchi e rossi per produrre un “finto rosè” vietate in Europa sono possibili invece in Nuova Zelanda e in Australia. L’Unione Europea ha dato il via libera anche al vino senza uva con l’autorizzazione alla produzione e commercializzazioni di vini ottenuti dalla fermentazione di frutti diversi dall’uva come lamponi e ribes molto diffusi nei Paesi. dell’Est.L’ultima frontiera dell’inganno è nella commercializzazione molto diffusa, dal Canada agli Stati Uniti fino ad alcuni Paesi dell’Unione Europea, di kit fai da te che promettono il miracolo di ottenere in casa il meglio della produzione enologica Made in Italy, dai vini ai formaggi. Si tratta di confezioni che grazie a polveri miracolose promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose come Chianti, Valpolicella, Frascati, Primitivo, Gewurztraminer, Barolo, Lambrusco o Montepulciano.

Ma a pesare sono anche i rischi legati alle richieste di riconoscimento di denominazioni che evocano le eccellenze Made in Italy come nel caso del Prosek croato, un vino dolce da dessert tradizionalmente proveniente dalla zona meridionale della Dalmazia, contro la cui domanda di registrazione tra le menzioni tradizionale l’Italia ha fatto ricorso, in virtù del fatto che potrebbe danneggiare il Prosecco.

Quello dei falsi resta comunque un mercato molto florido dove i rischi riguardano l’utilizzo delle stesse o simili denominazioni o simili per indicare prodotti molto diversi. Dal Bordolino argentino nella versione bianco e rosso con tanto di bandiera tricolore al Kressecco tedesco, ma ci sono anche il Barbera bianco prodotto in Romania e il Chianti fatto in California, il Marsala sudamericano e quello statunitense tra le contraffazioni e imitazioni dei nostri vini e liquori più prestigiosi che complessivamente provocano perdite stimabili in oltre un miliardo di euro sui mercati mondiali alle produzioni Made in Italy.

 

Lorenzo Palma, 13 aprile 2022