Sembra passato un secolo ma sono passati soltanto tre anni (mi viene in mente la battuta del bravissimo Antonio Catania nel film Mediterraneo quando ritrova il gruppo di soldati italiani dispersi su un’isola greca durante la seconda guerra mondiale: “Minchia!! Tre anni!” – pronunciata con un inconfondibile accento siciliano); eravamo nell’autunno del 2018, anno difficile di suo che per l’Italia era diventato un annus horribilis a causa dei continui litigi con l’Europa da parte della compagine governativa di allora.
In quelle brutte settimane di autunno le principali agenzie di rating avevano di nuovo preso di mira l’Italia: Moody’s ci aveva declassato “causa deficit eccessivo e crescita debole”, Standard & Poor’s aveva rivisto il proprio Outlook (cioè le previsioni) da stabile a negativo (anche qui scarsa crescita, deficit e legge sulle pensioni).
Fitch preannunciava un declassamento e un possibile effetto domino sulle banche italiane a causa della elevata esposizione ai titoli di stato italiani. Lo spread volava oltre i 300 punti e qualcuno parlava della decisione legittima di uscire dall’euro, non rimborsare i btp emessi e di stampare minibot.
Come dicevo sono passati tre anni e sembra un secolo, sappiamo tutti cosa è successo: il governo Conte1 è stato sostituito dal Conte2, poi sfiduciato, e infine al capezzale dell’Italia è stato chiamato Mario Draghi.
E l’arrivo di Draghi sembra aver compiuto il miracolo: abbastanza rapidamente – grazie anche alle prime misure intraprese dal nuovo governo e alla apparente solidità e compattezza della variegata maggioranza che lo sostiene – la narrativa sul nostro Paese è cambiata.
Si è iniziato con l’arrivo degli apprezzamenti sulla condotta della campagna vaccinale, partita a rilento ma poi in modo strutturato ed efficiente, poi le lodi per l’organizzazione del G20 a Roma e infine il Pil che è ripartito e si parla addirittura di Italia locomotiva d’Europa in questo scorcio d’anno.
Addirittura sono arrivati gli elogi di The Economist, periodico inglese mai troppo tenero con noi (vedi questa copertina di qualche anno fa). E che dire di Fitch che, dopo averci bastonato per anni, adesso elogia proprio quel sistema bancario che aveva contribuito ad affossare?
Insomma la musica sembra proprio cambiata e adesso – per passare a un ambito strettamente finanziario – anche la borsa italiana, per anni la Cenerentola d’Europa, è tornata ad essere interessante e sotto l’occhio attento degli investitori internazionali.
Già in questo 2021 il nostro listino ha recuperato qualche posizione e figura tra i migliori mercati dell’anno. Sembra di essere tornati ai tempi delle grida di Piazza Affari e dei collegamenti con Everardo Dalla Noce.
Ma potremmo essere alla vigilia di una riscossa ancora più forte nei prossimi mesi se è vero che il Pil italiano resterà forte anche il prossimo anno e se consideriamo la grande mole di aiuti che arriveranno all’Italia nell’ambito del piano di aiuti europeo (il programma Next Generation EU tramite il PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).
E veramente potrebbe essere un cambiamento radicale rispetto alla storia degli ultimi anni.
I rischi? Che Mario Draghi, vero artefice di questo successo, venga allontanato dalla stanza dei bottoni e ritornino al potere le vecchie, logore e mai superate consorterie politiche, decisamente a disagio nel ruolo di partner e non di protagonista.
Il nostro sistema produttivo peraltro (soprattutto nelle piccole e medie imprese, vera spina dorsale dell’economia italiana) ha dimostrato di saper reggere la concorrenza internazionale, di affrontare le strozzature delle catene produttive e di farsi trovare pronto al riemergere della domanda.
Basterà? Non lo so, però per la prima volta dopo tanti anni un cippino sull’Italia vale la pena metterlo (io l’ho già fatto).
Massimiliano Maccari, 18 dicembre 2021