Harakiri green, gli universitari non vogliono più fare ricerca con i soldi delle big dell’energia

E anche il WWF partecipa al delirio. Ma l’unica soluzione per decarbonizzare è il nucleare

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Nuova ideona dei talebani del green: costringere le università italiane a rendere pubblici i finanziamenti ricevuti dai big del gas e del petrolio. Così da provvedere a cancellarli.

Fa sorridere o meglio piangere l’harakiri collettivo votato all’unanimità dal Consiglio nazionale degli studenti universitari e subito sbandierato dal WWF contro i presunti “diavolacci” della lotta climatica.

Quasi che i big dell’energia non stessero investendo da tempo complessivamente miliardi di euro per centrare l’obiettivo della transizione energetica verso le rinnovabili: moltiplicando gli impianti fotovoltaici, eolici e idroelettrici.

Il tutto però non come un punto di arrivo ma nell’ambito di un piano organico pensato dal governo Meloni per restituire anche al nostro Paese la forza del nuovo nucleare pulito di ultima generazione. Realizzando, se i cittadini lo vorranno, i nuovi mini-reattori per la fissione nucleare e moltiplicando gli sforzi per rendere realtà le sperimentazioni in corso sulla fusione nucleare, cioè la stessa energia con cui il Sole illumina e riscalda il Pianeta.

Ma gli universitari se ne infischiano delle conquiste della tecnologia e brontolano il solito ritornello: i flussi finanziari devono essere coerenti con un percorso che conduca alla eliminazione dei gas a effetto serra e resiliente al clima, nonché all’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, come stabilito dall’Accordo di Parigi e confermato dall’ultima Cop28 di Dubai.

Le università devono farsi promotori della decarbonizzazione, così da dire addio alle fonti fossili e arrivare alle emissioni nette zero entro il 2050, proseguono il WWF & Co probabilmente con gli occhi coperte da fette di salame. Naturalmente rigorosamente vegano, così da evitare le emissioni degli allevamenti intensivi di maiali.

Un eco-delirio spinto all’apice del nonsense: “L’opinione di noi studenti è molto chiara: gli Atenei devono impegnarsi a rendere pubblici i flussi finanziari da parte delle aziende, in particolare del settore Oil&Gas, e soprattutto predisporre al più presto dei piani strategici per l’eliminazione di questi finanziamenti, anche convertendoli e reindirizzandoli in progetti connessi allo sviluppo e all’innovazione legati alle fonti rinnovabili”.

In sostanza, atenei e professori non dovrebbero più accettare i soldi, forse perché ritenuti maleodoranti di gas e petrolio, versati nelle loro casse dai gruppi dell’energia per fare ricerca. E questo perché, secondo un sondaggio, otto adolescenti su dieci sarebbero preoccupati per il clima e il 70% vorrebbe solo le rinnovabili.

Si tratta di un suicidio finanziario e tecnologico, come il referendum che da quasi mezzo secolo ha lasciato l’Italia senza il nucleare, compromettendone la competitività e costringendola a pagare per importare l’energia elettrica prodotta all’estero con le centrali che i paesi vicini hanno realizzato a ridosso dei nostri confini. Una beffa, materia da teatro dell’assurdo.

Senza contare che i gretini sono già stati sbugiardati perché eolico, fotovoltaico e idroelettrico non bastano per coprire il fabbisogno nazionale. Cioè permettere alle nostre imprese di accendere ogni giorno i macchinari con cui lavorano, consentirci di usare gli elettrodomestici e il condizionatore nelle nostre case, illuminare le strade e non ultimo caricare le auto elettriche tanto amate dagli ambientalisti.

Leggi anche: Il WWF se la prende con il Ponte sullo Stretto perché ostacolerà il volo delle cicogne. Qui, invece, come la paladina del clima Norvegia finanzia l’auto con la spina grazie ai proventi del greggio.

In fondo, come dice la stessa parola “studenti”, per capire basterebbe applicarsi con un pochino di passione in più. E se possibile, evitare di perdere tempo accampati nelle tende, così da arrivare alla laurea il prima possibile. I genitori, che pagano le rette, ringraziano di cuore.

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