Energia

La Russia, l’Ucraina e il Gas: l’errore (e la sfortuna) è tutto europeo, e viene da lontano

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Un vecchio romanzo terrificante dal nome “Fall Out” è da ormai più di un trentennio un testo fisso in molte scuole tedesche. In esso si narra della vita di alcuni ragazzini che viene distrutta da malattia e sofferenza infinita causata dallo scoppio di una centrale nucleare nelle vicinanze della loro cittadina. Ovvio che esso ha spaventato a morte diverse generazioni di scolari ed è uno dei motivi per cui sentimenti “anti-nucleari” così forti persistono ancora oggi in Germania. Quel sentimento ha indubbiamente portato a uno dei più grandi errori politici nel mondo occidentale negli ultimi anni.

Un’altra buona parte della colpa è del partito dei Verdi del paese, che ha appena formato un governo “multicolore” di coalizione con SDP e FDP. La sua posizione anti-nucleare intransigente ha portato la Germania ad avere alcuni dei costi energetici più alti del mondo occidentale, bruciando effettivamente parecchio carbone (quindi energia “sporca”) e finendo con l’invischiarsi pericolosamente con il gas Russo, che come sappiamo intanto sta ammassando truppe al confine con l’Ucraina e creando non pochi imbarazzi per la Germania ed un grosso problema per il mondo occidentale in generale.

Il movimento antinucleare tedesco è nato negli anni ’70 sulla scia di paure del tutto comprensibili, anche se in fondo eccessive. Con la cortina di ferro che incombeva in tutto il paese, la Germania era in prima linea nella Guerra Fredda e viveva nel terrore della bomba nucleare. A quel tempo ampie schiere di studenti, accademici e pacifisti organizzavano continuamente marce di massa per protestare contro la costruzione di nuove centrali nucleari.

Il disastro di Chernobyl anni dopo, con le sue nuvole radioattive pericolosamente vicine ai confini tedeschi, rafforzarono ulteriormente il sentimento.

Quando Angela Merkel divenne cancelliera, vide l’errore insito in questo tipo di politica e cercò di invertire la rotta ridirigendosi verso il nucleare. Ma qui entra in gioco una buona dose di sfortuna: dopo il disastro di Fukushima del 2011 in Giappone, la Merkel si rese conto che neanche lei poteva continuare a combattere l’opinione pubblica e fece nuovamente un’inversione di marcia.

In Francia è accaduto più o meno lo stesso nel corso degli ultimi due decenni, con l’inevitabile conclusione, negli ultimi anni, di Macron che nel tentativo di soddisfare la parte più “verde” e sinistrorsa del suo variopinto elettorato, ed in nome dell’ormai “imperativo categorico” europeo della transizione ecologica, ha chiuso numerose centrali nucleari ed altre stava programmando di chiuderne finché non è intervenuta la crisi ucraina a guastare la festa. Ed i problemi, ora, sono gli stessi, anche per la Francia: se l’energia non la produci tu, devi comprarla dai russi. O devi riaprire le centrali nucleari chiuse, ma è costoso, lungo e complicato.

Quanto all’Italia… beh, lo sappiamo, al disastro della miopia politica ed esaltazione invasata “verde” in salsa europeista, si aggiunge il non trascurabile particolare che essa, a differenza dei citati colleghi europei, l’energia nucleare non l’ha neanche mai avuta!

 

Certo, Chernobyl e Fukushima incombono sulle nostre coscienze collettive. Tuttavia, per ogni terawattora di elettricità prodotta, l’energia nucleare è da dieci a 100 volte più sicura del carbone o del gas, secondo Robert Gale, l’oncologo statunitense ed esperto di radiazioni. E di opinioni simili da insigni scienziati, la letteratura in materia è piena.

Certo, ci sono grossi problemi con l’energia nucleare, non da ultimo gli enormi costi iniziali per la costruzione di impianti e poi per la gestione dei rifiuti che producono. Ma se eliminare gradualmente l’energia nucleare significava bruciare più carbone e scivolare sempre più nelle fauci di Putin (che non vuole esattamente il “bene” dell’Europa e degli USA, quanto piuttosto il dominio militare e commerciale del suo stato), bisognava chiedersi, e già molto tempo fa, se questa fosse una prospettiva desiderabile per l’Europa ed il mondo occidentale.

D’altro canto la Russia di Putin è ormai da tempo pronta per resistere ad ogni genere di sanzioni internazionali: Putin ha reso questa sorta di “resilienza” nazionale una caratteristica ormai “genetica” della società industriale, finanziaria e civile della popolazione.

La Russia ha affrontato per la prima volta le sanzioni occidentali nel 2014 dopo aver annesso la penisola ucraina della Crimea e aver alimentato un conflitto separatista nell’Ucraina orientale fornendo ai ribelli armi e, occasionalmente, truppe.

 

Basti pensare che dopo la annessione della Crimea nel 2014, la Russia, trovatasi ad affrontare pesanti sanzioni occidentali, ha reagito addirittura con un’innovazione finanziaria! Ha lanciato il proprio sistema di pagamento, Mir, nel 2015 dopo che diverse banche private collegate agli amici intimi del presidente Putin non erano più in grado di usare carte Visa e MasterCard a causa delle sanzioni occidentali. Da allora le carte Mir sono diventate il mezzo di pagamento predefinito per chiunque riceva una pensione di vecchiaia o qualsiasi beneficio statale in Russia e, a differenza di MasterCard o Visa, la Mir è accettata in Crimea!

Un recente sondaggio ha mostrato che metà della popolazione russa possiede una carta Mir. Certo, a causa delle sanzioni il rublo subì una consistente caduta, la crescita economica vacillò ma una prudente politica macroeconomica e monetaria basata sul contenimento della spesa pubblica e sull’accumulo di riserve valutarie pregiate e oro, ha aiutato il Cremlino a rimanere a galla e a mettere da parte miliardi dalle sue entrate petrolifere per un fondo colossale destinato proprio a pararsi dai tempi bui, come quelli delle ricorrenti sanzioni occidentali.

Questa riserva può essere sfruttata secondo necessità per coprire la spesa sociale: pensioni, assistenza all’infanzia, bonus per le famiglie e sussidi ipotecari per chi acquista la prima casa, tutte componenti della strategia di “graduale allargamento del benessere” messa in piedi da Putin per gli anni 2020.

La Russia ha attualmente un forte avanzo di bilancio e non fa affidamento su investitori stranieri per coprire la spesa pubblica. Ha anche ridotto la sua dipendenza dalle entrate petrolifere, grazie alla crescita dell’economia interna. Inoltre il boom dei prezzi delle materie prime aggiunge 10 miliardi di dollari in più al mese alle casse del Cremlino da petrolio e gas.

Quindi la gestione dell’economia da parte di Putin è in netto contrasto con i prodighi sistemi socio-economici occidentali dove, soprattutto nel caso della pandemia da Covid, il denaro è piovuto copioso dagli elicotteri e gli sforamenti di bilancio pubblico sono ormai un denominatore comune ovunque.

Non c’è niente da fare dunque: “le opzioni dure, come l’esclusione dal sistema internazionale di pagamenti SWIFT o il divieto alle banche russe di negoziare in dollari, provocheranno sicuramente una svalutazione del rublo e qualche scossa economica ma nessuna di queste opzioni lascerà l’economia russa in rovina”, come aveva predetto una volta l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Il Cremlino potrebbe interrompere tutti i flussi di gas verso l’Europa – il 41% della fornitura dell’UE – per due anni o più senza incorrere in gravi problemi finanziari o dissesti.

È chiaro quindi che non ci sarà mai alcun blocco del legame energetico con la Russia. La dipendenza della Germania (e dell’Europa) dal gas è così totale che il cancelliere tedesco Scholz non è ancora mai riuscito ad affermare in modo inequivocabile che il gasdotto Nord Stream 2 sarà bloccato definitivamente in caso di un’invasione russa in Ucraina. E’ un po’ come Fonzie, il noto personaggio della serie televisiva anni ’70, che non riusciva proprio a dire “Ho sbagliato”, per quanto si sforzasse.

 

Sia chiaro: attualmente uno dei maggiori problemi connessi alle energie rinnovabili è che non esiste ancora una tecnologia sufficientemente efficiente per l’immagazzinamento di energia per grandi impianti (come quelli, appunto, delle centrali eoliche, idriche, solari ecc.). Quindi finché questo problema tecnico non sarà superato (si calcola, a detta degli esperti, tra minimo una decina di anni) dette centrali “rinnovabili” dovranno essere accompagnate a latere da centrali tradizionali ad energia fossile, pronte a subentrare nell’erogazione non appena la fonte rinnovabile subisce un calo (per temporanea e naturale mancanza di sole o di vento, ecc.).

Questo paradossalmente comporta che le emissioni, almeno per tutto tale decennio (posto che quelle “rosee” previsioni si verifichino) saranno addirittura maggiori di quando l’energia proveniva dalle sole fonti fossili poiché inevitabilmente invece, poniamo, di una sola centrale che alimenta una vasta area di territorio, avremo tante piccole centrali fossili abbinate in modo puntuale alle altrettante centrali rinnovabili, che per loro natura devono sorgere in posti specifici e sparsi sul territorio (una centrale eolica non la puoi fare dove non tira mai vento, per intenderci).

Hai voglia quindi, caro mondo occidentale, di investire come un pazzo in fonti rinnovabili, infrastrutture, reti ecc.: per un bel po’ avremo bisogno di energia prodotta in modo tradizionale ed i fornitori di essa (Russia per es., appunto) lo sanno come sanno che non durerà molto questo loro vantaggio, quindi lo faranno pesare il più possibile e cercheranno di sfruttarlo al massimo nel corso di questo relativamente poco tempo. Ecco spiegato come i prezzi dell’energia saranno in salita anche per gli anni a venire ed ecco spiegato la rinvigorita aggressività militare e geopolitica russa: deve conquistare ed allargarsi il più possibile e farlo ora, o dopo sarà troppo tardi.

E a causa delle passate scelte politiche energetiche sbagliate di Germania ed Europa in genere, non c’è NULLA che si possa ormai fare, se non piegarsi alla volontà vorace di Mosca. Certo, un po’ di teatrino lo dobbiamo fare e lo faremo. Ma ora sapete con quale inevitabile conclusione.

Fabrizio Catullo, 19 febbraio 2022