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Transizione energetica: le 7 vite dell’oro nero

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L’oro nero, il pomo della discordia dell’era moderna o in qualsiasi modo vogliate definirlo, ha sette vite, proprio come i gatti.

In più di una circostanza nel corso degli ultimi trent’anni, infatti, esperti ed analisti hanno spesso definito il petrolio in via di esaurimento, spacciato in virtù di una mai decollata transizione energetica globale che proprio in questo periodo, in  cui possiamo definire la pandemia uno spartiacque tra due ere (analogica inquinante e digitale green), è nuovamente un tema centrale sullo scacchiere economico-finanziario mondiale.

Se da un lato alcuni stati mediorientali, Emirati in primis, stanno da anni convertendo le basi su cui poggia la loro economia, in virtù di una sempre minore richiesta di petrolio a livello mondiale, dall’altro bisogna fare i conti innanzitutto con un mondo a due velocità in quanto innegabile che continenti come Africa ed America Latina, ed alcune aree dell’est europeo, nonché asiatiche, sono ancora indietro in tema di conversione energetica se adottiamo come pietre di paragone le nazioni scandinave, gli USA e la Germania.

Naturalmente i ciclici balzi in avanti del prezzo del petrolio, in questi giorni scambiato sulla linea dei 90 dollari al barile (WTI), hanno radici ben differenti da ciò che possiamo definire una vera e propria conversione alle energie rinnovabili ad eccezione di un primo reale tentativo piuttosto marcato nel settore automobilistico e di un sempre crescente utilizzo privato dell’energia solare; dinamiche che non sono sufficienti a farci pensare di poter fare a meno del petrolio almeno per decenni.

La transizione definitiva alle rinnovabili passa inevitabilmente attraverso la trasformazione delle industrie e del settore bellico (purtroppo) avido di petrolio e causa di enorme volatilità. Previsioni circa una ipotetica fine del petrolio sono state elaborate in epoche differenti ma mai si è giunti neanche ad una aleatoria certezza su quando si possa programmare un futuro non lontano senza l’oro nero.

Secondo un recente studio pubblicato da Bloomberg, basato su dati forniti dal Servizio Geologico degli Stati Uniti, si presume che sia ancora possibile estrarre dal sottosuolo circa 2000 miliardi di barili, ciò significa almeno altri 50 anni.

Volendo convertire queste riflessioni in spunti per eventuali idee d’investimento potremmo senza dubbio affermare che l’unica certezza al momento, per i privati, è investire nel solare in quanto, allo stato attuale, è la forma più pulita e sostenibile di energia capace di renderci completamente autonomi e fare a meno di gas, vento, petrolio e fornitura elettrica nonché di farci muovere in automobile sebbene ancora a prezzi elevati e ridotta autonomia se comparata con le auto a carburante tradizionale.

 

Avete liquidità da allocare e pensate al settore energetico?

Una valida soluzione sono i piani di accumulo (cosiddetto PAC) in quanto consentono di beneficiare lentamente della crescita di un determinato settore mantenendo il rischio su livelli accettabili, e nel nostro caso siamo a conoscenza che la transizione energetica non sarà rapida, pertanto un piano di accumulo in fondi specifici con orizzonte temporale 7-10 anni (magari per i vostri figli quando avranno la maggiore età) è una perfetta soluzione per chi vuole accantonare risparmi sfruttando le rinnovabili.

Per i più spregiudicati, e ferrati in materia di finanza e mercati, un occhio al prezzo del WTI ed alla volatilità negli ultimi 15 anni e le risposte sono acquisti periodici (non costanti) di ETC short nel caso in cui il prezzo del sottostante si attesti tra 95 e 100 dollari al barile con eventuale ricopertura ad un eventuale ed improbabile superamento del livello dei 108 con orizzonte temporale fissato in 2/3 anni.

La transizione energetica globale è in atto ma marcia a ritmi lenti da consentire varie strategie ed avere il tempo di correggere il tiro senza affanno.

 

Antonino Papa, 14 febbraio 2022