A metà del mese di ottobre, il mese dell’educazione finanziaria, il supplemento del lunedì di un importante quotidiano proponeva ai lettori un confronto su un arco di otto anni dei rendimenti di: “Mattone, BTP, azioni, oro”. Perché considerare un periodo di otto anni dal 2013 a oggi?
Perché si tratta della durata di un contratto di locazione standard di un immobile con importi liberamente concordabili. Questo permette di calcolare il risparmio dell’affitto di un immobile in relazione a quel che rende l’immobile stesso potendo così confrontare l’uso diretto e l’incasso dei canoni per otto anni.
L’inflazione cumulata negli otto anni è stata ovviamente uguale per tutte e quattro le forme di investimento ed è stata del 4% circa (ma le cose stanno cambiando rapidamente). Ecco il risultato del confronto:
Azioni: 45,6
Titoli di Stato: 26,4
Oro: 30,5
Nel caso degli immobili c’è stato un calo generalizzato. Ma è bene distinguere tra le diminuzioni dei prezzi del centro e semicentro: 11,8%, e quella delle periferie: 13,2%. Inoltre si deve distinguere tra città: a Milano il calo medio è stato del 4% mentre la periferia romana è calata del 18%. Comunque, in tutti i casi, abbiamo un calo del valore degli immobili rispetto alla crescita della borsa italiana.
D’altronde il mercato immobiliare italiano è da più di un decennio il peggiore in Europa perché c’è bassa crescita economica, le retribuzioni sono in calo così come il numero dei figli. Conclusione: meno figli e stipendi più bassi rispetto al caso opposto degli svedesi = maggiori i rendimenti degli investimenti alternativi alla casa. Gli immobili prima o poi devono venire abitati e chi li abita deve avere i mezzi per pagare un buon affitto.
Fin qui tutto sembra chiaro, e non si tratta certo di novità dato che le cose vanno così da ben più di otto anni e da ben più di un decennio. Eppure domandiamoci: “Siamo sicuri che sia corretto procedere a un confronto tra entità teoricamente omogenee nel tempo e nello spazio, avendo tutte a che fare con l’Italia? Oppure dovremmo procedere a un confronto tra quelli che sono stati i comportamenti effettivi degli italiani nel corso di questi otto anni?”.
Se seguite i precetti della consulenza comportamentale, prima dovreste andare a vedere come si comportano le persone e poi procedere ai confronti tra le conseguenze dei diversi tipi di comportamenti. In questo caso i conti cambiano. Quasi tutte le case possedute da italiani sono in Italia mentre questo non vale per la minoranza dei risparmiatori italiani che investe in azioni: la borsa italiana è meno del 2% delle borse mondiali.
Quindi, se non fate un confronto astratto, ma esaminate quelli che sono i comportamenti effettivi, scoprite che la superiorità degli investimenti azionari è molto più alta perché la borsa italiana è andata in media meno bene delle altre borse ed è stata solo una parte degli investimenti azionari degli italiani. Però l’italiano che non investe in azioni trova plausibile confrontare l’indice dei prezzi degli immobili italiani con quello della sola borsa italiana.
Viceversa chi è giunto alla scelta delle azioni è anche abbastanza preparato da conoscere i vantaggi della diversificazione. Ma i relativamente pochi risparmi investiti in borsa – molto meno di quelli degli statunitensi che hanno la fortuna che il loro mercato locale corrisponde alla borsa leader mondiale – non hanno la concentrazione sulla borsa italiana pari alla concentrazione spaziale degli immobili che sono quasi tutti collocati nel nostro paese.
Suggerisco, come sempre, di partire dai comportamenti e poi cercare di spiegarli, e non procedere a confronti servendosi di metri di misura in astratto corretti, ma avulsi dai comportamenti. La via regia non è la finanza comportamentale ma la consulenza comportamentale.
Paolo Legrenzi