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C’è una prima volta per tutti, anche per Rockefeller

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A volte un piccolo ritardo può modificare la storia di una persona, questo cambiò quella degli USA

Il 18 dicembre 1867, un uomo perse un treno. La cosa potrebbe sembrarci irrilevante, se non fosse che l’uomo che perse il treno si chiamava John D. Rockefeller e che il treno poi deragliò causando 49 morti e solo 2 sopravvissuti. Teniamo poi conto che questa fu la prima volta che Rockefeller nella sua vita perse un treno; è quindi facile capire quanto una casualità a volta possa cambiare non solo il destino di una persona, ma addirittura quello di una nazione come gli USA.

I Rockefeller era una famiglia di origini francesi, ugonotti per la precisione, che si dovette trasferire in Germania perché all’epoca gli ugonotti in Francia venivano discriminati. Nel XVIII secolo poi i Rockefeller si spostarono negli USA. John D. Rockefeller, il membro più importante della famiglia fu un imprenditore, un petroliere, uno speculatore ma anche un filantropo; è stato definito in molti modi.

Di sicuro verrà ricordato per aver segnato la storia dell’America e per aver avuto per primo la grande intuizione di investire nel petrolio. D’altro canto, era anche un uomo molto religioso, di fede battista per la precisione. La fede lo guidò durante tutta la sua vita e lui riteneva fosse la fonte del suo successo, anche perché interpretò il fatto di aver perso il treno come un segnale divino e cioè che si salvò perché era chiamato a grandi cose nella vita.

Nel 1870, poco dopo essere scampato al disastro ferroviario fondò a Cleveland in Ohio, all’epoca una delle città più importanti nel giro della raffinazione, la Standard Oil Company, uno dei business più famosi nella storia d’America, investendoci tutti i suoi risparmi. In pochi anni, Standard Oil arrivò a dominare l’industria del petrolio e raffinare oltre il 90% del petrolio negli Stati Uniti.

Usando strategie efficaci, ma anche assai criticate, la compagnia assorbì molti dei suoi concorrenti, dapprima nell’Ohio, poi nel resto del Nordest degli Stati Uniti, facendo inoltre fallire i concorrenti che si rifiutarono di venire assorbiti, per acquistarli in un momento successivo all’asta del tribunale fallimentare.

Rockefeller fu inoltre un convinto fautore del Darwinismo sociale. Riteneva cioè che i più capaci avrebbero avuto la meglio sui meno capaci e mantenne la ferma convinzione che “La crescita di una grande azienda non è altro che la sopravvivenza del più forte”. Da solo era arrivato a pesare per circa l’1,5% del PIL degli USA e probabilmente fu il primo uomo a superare il miliardo di $ di patrimonio.  

Nel 1911 la Corte suprema degli Stati Uniti d’America sancì l’illegalità del monopolio di Rockefeller − che controllava il 64% del mercato − e ordinò ai dirigenti di spaccare la compagnia. Fu così che nacquero trentaquattro compagnie separate. Nonostante questo ‘smembramento’, le figlie di Standard Oil sono alcune di quelle che noi oggi conosciamo sotto il nome di “7 Sorelle“. ExxonMobil, la Conoco, la Chevron, la Amoco e così via.

Ebbe anche uno spazio nel mondo dei fumetti. Rockerduck, il personaggio Disney rivale di Paperon De Paperoni è ispirato proprio a Rockefeller, con i suoi metodi discutibili di condurre il business.

Nel mondo di oggi non c’è un Rockefeller col monopolio del petrolio o del carbone, ma ci sono altri monopoli di cui le autorità stanno iniziando ad occuparsi. Le Big Tech, già estremamente potenti prima del Covid, durante il 2020 hanno rafforzato il loro monopolio del mercato.

Inizialmente la preoccupazione nei loro confronti è partita per l’aumento del loro peso sull’indice S&P500, il doppio rispetto a soli 5 anni fa. Un loro storno d’ora in avanti avrà un impatto significativo sull’indice! Ma dopo i fatti di Capitol Hill sta iniziando a cambiare anche il sentiment degli americani “medi” verso di loro, motivato anche dalla scelta unilaterale compiuta da questi colossi di silenziare una parte di America dopo Capitol Hill. Scelta che ha fatto nascere numerose polemiche, anche in campo democratico. E adesso stanno arrivando anche le cause legali proprio sul tema monopoli.

La Federal Trade Commission statunitense e una coalizione di 48 stati Usa guidata dalla procuratrice di New York Letitia James hanno infatti lanciato due cause antitrust contro Facebook, accusato di pratiche anticoncorrenziali. Nel mirino dell’offensiva legale l’acquisizione di Instagram e di WhatsApp.

Al contempo, il dipartimento di giustizia americano e 11 stati hanno intentato una causa contro Google per abuso di posizione dominante nelle attività dei motori di ricerca e del search advertising. Per molti osservatori queste due iniziative rappresentano le più grosse cause in materia antitrust degli ultimi 20 anni dopo quella contro Microsoft.

Per non parlare poi dell’Australia, che col suo News Media and Digital Platforms Mandatory Bargaining Code ha disciplinato i rapporti tra industria dei contenuti e piattaforme digitali, o di Alibaba, multata di 2,8 miliardi per abuso di posizione dominante dall’amministrazione di stato per la regolamentazione del mercato (Samr), l’autorità cinese con funzioni di antitrust, in quanto i merchant non potevano vendere i propri prodotti anche su piattaforme rivali ed erano quindi limitati nelle loro libertà. Anche il congresso americano si sta interessando al tema, sia per le implicazioni verso la democrazia, sia per proteggere al meglio i consumatori.

Queste azioni contro le Big tech non vogliono mettere in discussione il ruolo della tecnologia nell’economia, ma quando il 92% delle ricerche sul web transita da Google, 7,5 interazioni social su 10 hanno luogo su Facebook, un terzo degli acquisti online è intermediato da Amazon è chiaro che c’è qualcosa che va corretto.

Inoltre, e forse è quello che ci dovrebbe preoccupare di più, il punto è che le cosiddette FAANG sono diventate così dominanti, redditizie ed elefantiche che per le startup è diventato difficile sfidarle, soffocando l’innovazione. Insomma, proteggerci dai monopoli oggi vuol dire favorire la nascita di un nuovo ciclo tecnologico per coltivare le future stelle nascenti, quelle che saranno le Big Tech di domani.

 

Alessio Benaglio