Senza gli Agnelli, la strategia di Fiat, poi di Fca e ora di Stellantis, l’industria dell’auto in Italia “sarebbe scomparsa da tempo”, come è accaduto al settore informatico orfano dell’Olivetti o alla Chimica post Montedison: le parole pronunciate ieri dal presidente John Elkann in audizione alla Camera ricordano un po’ il Re Sole e il suo “L’Etat c’est moi“.
Meno di una azienda su cento di quelle nate a inizio Novecento sono ancora in vita, ha proseguito il rampollo preferito dall’Avvocato, rivendicando l’impegno profuso dalla sua famiglia a difendere il gruppo dell’auto, iniettandovi risorse per rilanciarlo nei momenti di difficoltà.
Il presidente di Stellantis ha però subito messo le mani avanti sul fatto che quello in corso sarà un altro anno difficile per il settore, vista la sfrenata concorrenza delle Case produttrici cinesi. In sostanza, si può dedurre, servirà altra cassa integrazione.
Malgrado questo Ekann, come già aveva fatto al tavolo del ministero il responsabile europeo Jean-Philippe Imparato, ha nuovamente dato rassicurazioni sulla “centralità” che riveste l’Italia nei piani di Stellantis, che grazie ai suoi 157 miliardi di fatturato e 5,5 milioni di veicoli venduti è il quarto gruppo del settore al mondo.
Il nuovo amministratore delegato, dopo il defenestramento coperto d’oro di Carlos Tavares, sarà annunciato entro giugno. Bruxelles però deve darsi da fare per incentivare la transizione e sostenere il settore dell’auto in difficoltà.
In breve, l’Ue dopo aver distrutto il comparto immolandolo sull’altare del green, dovrebbe mettere mani al portafogli per incentivare proprio quella stessa transizione che ha ucciso una industria che era leader. Perché ha detto Elkann, le norme per abbattere le emissioni volute da Frans Timmermans e dai suoi soldali hanno reso il mercato “frammentato” e “non omogeneo”.
Insomma, gli 1,8 miliardi già stanziati per le batterie non bastano. Occorrono altri incentivi e un piano per centrare la decarbonizzazione, facendo ricorso a differenti motorizzazioni e carburanti. Non più solamente auto con la spina, quindi, ma scommettere soprattutto sulle vetture ibride.
Anche perché, sempre secondo Elkann, l’industria italiana dell’automotive e la sua filiera non possono certo traslocare verso la Difesa, come ha invece proposto pochi giorni fa il ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso.
Peccato però, ricorda chi scrive, che la situazione degli impianti italiani resti drammatica, a partire proprio dall’ex stabilimento simbolo di Mirafiori, ormai ridotto a una cattedrale green nel deserto della periferia di Torino e da Maserati. Il gruppo del Tridente era persino arrivato a proporre di acquistare le sue supercar scontate ai metalmeccanici.
L’audizione, durata due ore, è stata infatti accolta con alterni umori anche tra i banchi della maggioranza. Alcuni hanno visto alcuni passi avanti rispetto alla audizione choc di Tavares dello scorso ottobre, quando il manager portoghese aveva toccato il ridicolo sostenendo che la richiesta di altri sussidi pubblici non fosse per il gruppo ma a favore degli operai italiani.
Altri hanno, invece, bocciato Elkann senza riserve. A partire dalla Lega di Matteo Salvini, secondo cui è stata una “vergognosa presa in giro”, visto che Fiat malgrado sia “cresciuta grazie ai soldi degli italiani” ha poi ridimensionato l’occupazione nel nostro Paese per portare le catene di montaggio all’estero.
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Quello che è certo è che le chiacchere non bastano per risollevare la produzione in Italia e rilanciare le immatricolazioni dalla rovina dell’elettrico. Giova qui ricordare che proprio mentre Elkann teneva la propria arringa in Parlamento la holding Exor investiva altro denaro per salire fino al 18,7% nel capitale di Philips, azienda specializzata nel business della salute.
Exor precisa di voler riequilibrare il proprio portafoglio azionario dopo l’esplosione del valore di Ferrari, ma pare anche evidente quale sia la strategia industriale della holding e quale sia il business ora ritenuto strategico e portatore di profitti in futuro.
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