Se stessimo assistendo a una gara di ippica potremmo parlare di una “incollatura”. Ma quelle 229 automobili vendute in meno fanno una grande differenza, perché il marchio Fiat ha cessato di essere il più venduto in Italia.
Il sorpasso su Torino è avvenuto lo scorso dicembre, dopo 96 anni di dominio, da parte della tedesca Volkswagen. Al momento si tratta del dato relativo alle vendite mensili, ma il segnale è sinistro.
Per l’esattezza lo storico marchio sabaudo ha visto le sue immatricolazioni calare del 16% a 10.523 vetture nell’ultimo mese del 2023, all’opposto la rivale tedesca le ha spinte a quota 10.752 unità, per un progresso superiore al 20%.
Appunto 229 vetture di distanza. In parallelo, Fiat si deve ormai accontentare di una quota di mercato sceso al 9,5% (dal precedente 11,9%) mentre Volkswagen ha agguantato il 9,7% (dal precedente 8,5%).
Insomma, lo storico marchio torinese ha perso la corsa delle preferenze contro la rivale di sempre anche tra gli automobilisti di casa. Chi scrive, da liberale, guarda con molti dubbi alle logiche del sovranismo economico.
Va da sè, però, che una multinazionale come Stellantis, a cui fa capo il marchio Fiat, ragioni su scala mondiale con il suo amministratore delegato Carlos Tavares e che investa dove crede di avere il maggior profitto per se e per i suoi azionisti. Soprattutto ora che il settore deve fare i conti, dopo la guerra in Ucraina, anche con la crisi delle forniture conseguente agli attacchi dei ribelli houthi nel canale di Suez.
Primo azionista di Stellantis è la famiglia Agnelli con il 14,3%, tramite la holding Exor di John Elkann. Alle sue spalle si canta la marsigliese con i Peugeot e soprattutto con lo Stato francese, a cui fa capo poco più del 6% circa. Un presidio pesante a livello di moral suasion che Mario Draghi aveva pensato di riequilibrare schierando Cassa Depositi & Prestiti, ma si era visto sbattere la porta in faccia da Tavares.
Fare leva su Cdp, che fa capo al ministero del Tesoro e alle Fondazioni bancarie, sarebbe stato probabilmente di aiuto al governo Meloni che, con il ministro Adolfo Urso, è al lavoro su un piano per riportare perlomeno a quota 1 milione le automobili prodotte in Italia. Il progetto vede come perno naturale Stellantis che però batte ancora cassa. Denaro prelevato dalle nostre tasse o comunque che aggraverà il debito pubblico, da ripagare con Bot e Btp.
Figuraccia immatricolazioni a parte c’è un particolare molto interessante su cui riflettere, il Lingotto a dicembre schierava una gamma di soli 8 modelli contro i 14 di Volkswagen, ben attenta – in ossequio al proprio nome di “vettura del popolo” – a presidiare tutti segmenti più gettonati.
Molte delle auto Fiat non possono invece dirsi recentissime, al contrario sono in attesa di un rinnovo più o meno programmato. Piccola consolazione per Torino è che la sua Fiat Panda continua a essere la regine delle vendite. Peccato che la sua erede green, la versione elettrica che piacerà agli ecologisti è già stato deciso che sarà prodotta in Serbia.
Dai dati di gennaio sapremo se il sorpasso di Volkswagen è un episodio sporadico o un tendenza. Se così fosse, tornando all’immagine dell’ippica, gli stabilimenti tricolore, oggi ritenuti alla stregua di “purosangue” dove produrre il lusso, rischierebbero di apparire più simili a “ronzini” o, peggio, a “somari” su cui scaricare il peso dell’insuccesso.
Per approfondire leggi anche: il “Ciaone” di Stellantis a Pomigliano proprio sulla piccola elettrica di casa Fiat; qui invece la nuova stangata in arrivo sulle polizze Rc auto.
L’industria dell’auto italiana deve produrre e investire, rispolverando la sfida industriale contenuta nell’acronimo Fiat: “Fabbrica Italiana automobili Torino”. Il nostro Paese deve però creare un contesto positivo. Questo non si fa solo con non gli incentivi, ma abbattendo la burocrazia, velocizzando i cantieri e la giustizia, liberalizzando e favorendo la flessibilità, anche sul lavoro.