Mai come quest’anno sono stati fatti tanti sondaggi sulle intenzioni di voto in occasione delle presidenziali statunitensi. Le rilevazioni registrano che spesso le persone dichiaravano: “Voto Trump perché ha fatto bene ai miei risparmi”. Non sapremo mai se questa era una reale motivazione oppure una giustificazione “a posteriori” per una decisione che in realtà era già stata presa. Sappiamo infatti che molte persone non erano inclini a dire per chi votavano né a palesare i motivi per cui avevano fatto quella scelta. Questa “riservatezza” ora la abbiamo accertata confrontando i sondaggi e i modelli di previsione, anche molto sofisticati, con quelli che poi sono stati i risultati effettivi, molto più favorevoli a Trump, pur perdente, di quanto non si aspettassero molti analisti.
E’ anche diffusa la credenza che con i presidenti repubblicani i mercati Usa vadano meglio.
William J. Clinton (Democratico), rendimenti 210%
Barack h. Obama (Democratico), rendimenti 182%
Dwight D. Eisenhower (Repubblicano), rendimenti 129%
Ronald W. Reagan (Repubblicano), rendimenti 117%
Harry S. Truman (Democratico), rendimenti 87%
George H. W. Bush (Repubblicano), rendimenti 51%
Lyndon B. Johnson (Democratico), rendimenti 46%
Donald J. Trump (Repubblicano), rendimenti 43%
Jimmy E. Carter (Democratico), rendimenti 28%
Gerald R. Ford (Repubblicano), rendimenti 26%
Questa tabella è tratta da Money.it a cui rimando per i dettagli: https://www.money.it/Elezioni-USA-migliori-presidenti-Stati-Uniti-secondo-Wall-Street
Entrambe queste credenze vanno, come sempre, confrontate con i fatti. Se consideriamo l’andamento della borsa USA in concomitanza con i dieci migliori presidenti, a partire da quando io ho memoria, almeno usando questo metro di giudizio constatiamo che siamo su un piede di parità: cinque sono democratici e cinque repubblicani ma, in media, la borsa ha fatto meglio con i democratici. Come mai questo scarto tra le opinioni e i dati? Per diversi motivi. Il principale è il fatto che i presidenti repubblicani, dato il loro elettorato, hanno sempre menato vanto della crescita dei mercati perché molta parte dei loro elettori ne hanno tratto beneficio. Questo è avvenuto molto meno con l’elettorato dei presidenti democratici se si tiene presente che metà degli statunitensi, soprattutto quelli meno abbienti, non ha quasi nessun risparmio investito in borsa. Un altro motivo è di ordine più generale, e cioè la memoria corta dei risparmiatori e la loro emotività che impedisce loro di costruire quello che chiamo “presente esteso”, e cioè un intervallo temporale che copre l’immediato passato, il presente e si estende nel futuro. Se lo avessero fatto si sarebbero accorti che con Obama la borsa ha fatto molto meglio che con Trump (182% contro 43%).
Si badi infine che la componente che più ha giovato alle borse Usa è stato il progressivo affermarsi dell’immateriale e delle tecnologie dell’intangibile. Questa affermazione non ha ben poco a che fare con le presidenze di Obama e Trump ma è una superiorità di lunga durata che la pandemia ha accelerato, come tutti si sono accorti nel corso di questo ultimo anno. Anche la difficoltà di valutare gli andamenti sui tempi lunghi è un fenomeno forte e grave. Gli statunitensi hanno aspettato a lungo ad abbandonare il tradizionale portafoglio “60% azioni – 40% obbligazioni” e lo hanno fatto con riluttanza anche se negli ultimi cinque anni le azioni hanno reso il 12,44% e le obbligazioni meno di un terzo di questa media (cfr. la tabella a p. 3 che esce ogni settimana su Plus del Sole24Ore). In conclusione la credenza sulla superiorità dei presidenti USA repubblicani conferma che, in maggioranza : 1) persone sono impressionate dalle notizie sui media più che dai fatti; 2) le persone valutano sui tempi corti e non si basano su un “presente esteso”; 3) le persone hanno una forte inerzia nelle loro credenze che vengono modificate solo molto lentamente e sono corrette solo se smentite dai fatti in modo plateale (e non sempre); 4) le persone confondono le correlazioni, e cioè due o più fenomeni che co-variano nel tempo, con le cause, e cioè il meccanismo per cui un fenomeno produce un effetto su un altro.