Finanza

Investi denaro? Ecco la lezione da imparare

You Can’t Always Get What You Want 
Così cantavano i Rolling Stones nel 1969 ed è una delle loro canzoni più famose; la leggenda vuole che Mick Jagger e Keith Richards fossero in Indiana per un concerto alla Ball State University e Mick Jagger stesse ordinando una “cherry soda”  a un pub all’interno  del campus a uno studente che serviva al bancone, il giovane John Birkemeier.

Questi disse a Jagger che non poteva preparare la cherry soda in quanto non aveva a disposizione le ciliegie per creare il cocktail; Mick non poteva crederci e allora il ragazzo gli disse: You can’t always get what you want” (Non puoi avere sempre quello che vuoi)

Nacque così questa splendida canzone e pare che ancora fino a qualche tempo fa, quando i Rolling Stones si esibivano in zona, John Birkemeier ricevesse biglietti omaggio per il concerto.

Ma veniamo a noi, proprio ieri ho incontrato un risparmiatore che mi ha chiesto un rendimento intorno al 6% annuo, senza correre particolari rischi ovviamente. È sempre antipatico dover smontare le certezze o le convinzioni ma la serietà impone di dire la verità per quanto brutta essa sia: “è impossibile ottenere quel rendimento di cui Lei parla senza rischiare qualcosa”…

Proprio qualche giorno fa ricorreva un anniversario speciale: 40 anni fa, il 30 Settembre 1981, fu il giorno esatto in cui i rendimenti dei titoli di stato americani a lungo termine (i Treasury) raggiunsero il loro picco massimo inaugurando il più lungo mercato rialzista della storia delle obbligazioni: 15,78%, incredibile!

La cosa più incredibile peraltro fu che gli operatori del mercato lamentavano il fatto che dovevano combattere per convincere gli investitori ad acquistare le obbligazioni anche se molte emissioni offrivano rendimenti record.

Questo è esattamente normale, noi sappiamo oggi – 40 anni dopo – che quel rendimento era da record e che, per i successivi 40 anni, i rendimenti sarebbero scesi continuativamente sino ad arrivare ai livelli di oggi.

In quel momento invece i tassi di interesse avevano semplicemente stabilito un altro record in un processo di rialzo che sembrava non aver fine. A causa dell’inflazione, tra il settembre 1977 e il settembre del 1981, i rendimenti delle obbligazioni passarono dal 7,9% circa a oltre il 15%.

E in quel settembre dell’81 quasi nessuno pensava che i tassi di interesse sarebbero scesi in modo significativo, cosa che avvenne successivamente. Solo un anno dopo erano già a 11,65% e poi via fino al 2% di oggi.

La lezione di quel 30 settembre 1981 è che i mercati possono muoversi nella stessa direzione molto più a lungo di quanto chiunque possa immaginare, e poi andare nella direzione opposta quando nessuno se lo aspetta (fonte: Wall Street Journal).

Nelle ultime settimane sono arrivati segnali consistenti di un risveglio dell’inflazione che, come un drago addormentato, non si presentava nelle forme attuali da tanti anni; inflazione che fu uno dei motivi principali che portarono al rialzo dei tassi di interesse fino al picco dell’81.

Oggi la crescita dei prezzi delle materie prime (petrolio e gas in primis) ha imposto un’accelerazione ma anche altri prodotti sperimentano una forte crescita dei prezzi.

E proprio sul Corriere della Sera di oggi nelle pagine dell’economia ci sono due articoli cui i risparmiatori dovrebbero prestare grande attenzione: il primo dice che il rendimento del Btp a 10 anni si è attestato allo 0,87% (lordo di ritenuta fiscale, imposta sostitutiva dello 0,20% e di inflazione); l’altro che “L’inflazione sale ancora: +2,5%, pesa l’aumento del costo dell’energia”.

Attenzione! L’altra faccia del rialzo dei rendimenti in quei lontani anni (dalla metà dei ‘70 fino ai primi ‘80) fu il prezzo delle obbligazioni che crollò ai minimi storici segnando, oltre al tracollo dei prezzi delle obbligazioni, anche dei capitali investiti dai risparmiatori.

E oggi i risparmiatori sono di fronte ad un dilemma shakespeariano: come investire per ottenere quello che vorrebbero ottenere?

Leggevo stamattina un interessantissimo post del solito Charlie Bilello che ricordava che, per decenni, l’ipotesi di rendimento annuo adottata dai fondi pensione era del 7,5% (stiamo parlando di America ovviamente).

Ma qual era il mix di strumenti necessario per portare tale rendimento?

Nel 1981 bastava acquistare buoni del Tesoro a breve termine (i T-Bills): rendimento oltre il 15%, quasi ai massimi storici e più del doppio di quanto desiderato.

Nel 1991, dieci anni dopo bisognava acquistare prevalentemente Treasury (buoni a medio-lungo termine) che rendevano l’8% mentre i T-Bills “solo” il 6%.

Nel 1996 era già stato necessario affacciarsi fuori dalla sicurezza dei soli titoli di stato ed acquistare obbligazioni corporate per il 100% del portafoglio (ricordate che l’obiettivo era un rendimento del 7,5%).

Nel 2001 i tassi risalirono e fu possibile tornare a un 15% di Treasury.

Nel 2006 cambia la storia, i T-Bills rendevano il 4,2%, i Treasury il 4,5% e i Corporate Bond il 6,1%: per la prima volta fu necessario inserire azioni in portafoglio.

 

Nel 2011 la politica dei tassi a zero varata dalla Federal Reserve obbligava a una nuova allocazione: cresceva la quota di azioni (si assume che il rendimento atteso da queste ultime – riferite alla borsa Usa – sia del 10% all’anno) al 37%. Quota che saliva al 45% nel 2016.

Nel 2021 il rendimento dei Treasury è poco sopra l’1%, i Corporate Bond sono al 3,2%: per la prima volta più della metà del portafoglio deve essere investita in azioni.

E allora torniamo a bomba al risparmiatore incontrato ieri: come portare a casa quel 6%? Diciamo pure un 4%, visto che il 6% è decisamente fuori standard.

Come abbiamo visto il rendimento dei titoli di stato a lungo termine (Btp a 10 anni) è intorno allo 0,85/0,90%, i Corporate Bond europei si collocano circa allo stesso livello del Btp mentre i titoli ad alto rendimento (gli High Yield) sono intorno al 3,5%.

La difficoltà sta nello stimare il rendimento atteso dai mercati azionari, nel sito di una società di analisi si stima che il ritorno atteso nei prossimi 10 anni dai listini possa attestarsi al 6,5%.

Quindi per poter aspirare a un dignitoso 4% il nostro portafoglio dovrebbe avere una composizione abbastanza orientata al rischio: con una cospicua quota azionaria.

Riusciamo a immaginare il risparmiatore-tipo con un portafoglio così articolato?

No? Nemmeno io

Però dobbiamo anche prendere atto che continuare a ragionare con le vecchie logiche non ha senso: rimanere ancorati a forme iper-prudenti che oggi non consentono alcuna remunerazione dei propri capitali espone al rischio di veder eroso il proprio capitale in termini reali (al netto cioè dell’inflazione) e – se vado ad acquistare titoli di stato a lungo termine – a shock indotti da un possibile aumento dei tassi (v. sotto). Insomma per poter avere quello che vuoi devi accettare di prendere un po’ di rischio altrimenti… you can’t always get what you want.

 

Massimiliano Maccari