40.000 anni fa, in una notte stellata in una grotta di montagna un uomo esala l’ultimo respiro ricordando con tristezza i suoi compagni morti in precedenza.
È l’ultimo rappresentante della sua specie, è un Neanderthal…
I Neanderthal o Homo neanderthalensis sono stati sicuramente la specie più studiata da quando i primi fossili furono ritrovati nella valle di Neander in Germania nel 1856.
A lungo considerati una sorta di anello mancante tra la specie umana moderna (Homo sapiens) e i primi antenati scimmieschi recentemente l’uomo di Neanderthal è stato rivalutato.
Intanto ricordiamoci che ognuno di noi possiede tra l’1 e il 4% di DNA riferibile ai neandertaliani.
A parte questa eredità genetica gli studi più recenti hanno cercato di far luce sul perché questa specie, sorella dell’Homo sapiens, dopo aver colonizzato l’Europa intorno a 350-300mila anni fa si sia estinta intorno a 40.000 anni fa.
Ed è proprio sulle cause dell’estinzione che negli anni ci sono state le maggiori divergenze fra gli studiosi.
Oggi è comunemente accettato che i Neanderthal avessero raggiunto uno sviluppo cognitivo pari a quello dei sapiens e che le due specie non solo abbiano convissuto ma che si siano incrociate dando origine a individui ibridi (v. Dna comune).
Ebbero il loro maggior sviluppo intorno ai 140-115mila anni fa salvo poi estinguersi abbastanza improvvisamente intorno ai 40mila anni fa.
Moltissime sono le teorie intorno alla loro scomparsa: si va dal genocidio e all’estinzione causata dai sapiens (loro competitor diremmo oggi) al “rimpiazzamento” cioè alla graduale sostituzione del Neanderthal a opera del Sapiens in modo non traumatico ma dovuto alle maggiori capacità dei sapiens di operare come gruppo sociale con compiti condivisi, utilizzo di utensili più complessi, capacità artistiche; l’altra teoria è quella “dell’ibridazione” cioè del progressivo assorbimento dei caratteri genetici (e fisici) da parte dei sapiens.
Ancora oggi però una delle più convinte teorie è quella che vuole che il Neanderthal, particolarmente adattato alla vita nel periodo 350-50mila anni fa con periodi glaciali e interglaciali ripetuti, non abbia avuto la capacità di adattarsi a un ambiente mutato in cui la sua estrema specializzazione diventò un problema: più un predatore è specializzato tanto più è facile che si avvii verso l’estinzione quando – per cause esterne come il clima – il numero delle potenziali prede diminuisce.
Anni fa lessi l’interessante libro di Piero e Alberto Angela “La straordinaria storia della vita sulla Terra”, un paragrafo mi colpì moltissimo e ancora lo ricordo: “quando l’ambiente intorno a te cambia ci sono due soli comportamenti, l’adattamento o l’estinzione”.
Ed è proprio questa considerazione che porto all’attenzione dei risparmiatori italiani: dopo anni in cui l’ambiente finanziario è stato caratterizzato da tassi bassissimi e addirittura negativi per un certo periodo (una sorta di periodo glaciale), unitamente a un livello di inflazione insolitamente basso, il 2022 ha visto un ritiro dei ghiacci: in seguito al ritorno del fenomeno inflazionistico le banche centrali hanno cambiato la loro politica monetaria e hanno proceduto a un rialzo repentino e costante dei tassi di interesse (è come se il nostro cugino Neanderthal fosse passato da inverni nevosi e freddissimi a un improvviso clima primaverile).
Il risultato primo di questo nuovo ambiente è stato il peggior anno della storia per il mercato dei bond dal 1841…
Il risultato secondo però è che il nuovo ambiente – finalmente – è quello che ricordiamo (ormai con fatica) dagli anni ’70 e ‘80: i rendimenti delle obbligazioni.
Come ho ripetutamente scritto (almeno da settembre dello scorso anno dopo la debacle seguita agli annunci della Federal Reserve e della Bce) oggi il mercato dei bond è decisamente interessante e i gestori sono concordi nel consigliare un aumento dell’esposizione alle obbligazioni.
E’ vero che non bisogna seguire necessariamente il pensiero dominante ma è vero che se tutti i meteorologi del mondo dicono che domani ci sarà il sole forse è il caso di lasciare a casa l’ombrello…
Massimiliano Maccari, 30 gennaio 2023