L’Italia ha un tesoro nascosto da 8.300 miliardi. Ma le agenzie di rating se ne fregano

E’ quanto vale la ricchezza finanziaria di famiglie e imprese. Sale anche la scommessa degli investitori esteri sul nostro Paese

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Agenzie rating Italia

Le agenzie di rating restano timide sull’Italia, giustamente preoccupate per un debito pubblico tanto elefantiaco quanto imbarazzante. Un macigno frutto degli errori del passato e appesantito ulteriormente dal Superbonus. Venerdì scorso l’ultima è stata Moody’s a mantenere invariata la pagella del nostro Paese, mostrandosi ancora più occhiuta di S&P e Fitch.

Moody’s ha lamentato il lento ritmo con cui stanno avanzando i cantieri del Pnrr, esprimendo seri dubbi che il Paese riesca a tradurre in lavori tutti i fondi richiesti prima della scadenza. Moody’s  ha inoltre evidenziato il debole contesto internazionale; dove alla recessione perdurante della Germania si aggiunge il peso dei dazi cinesi e di quelli preannunciati da Donald Trump.

Tutto vero, tanto che – scrive l’agenzia di rating americana – quest’anno il Pil italiano crescerà meno dell’1%, quindi meno di quanto indicava il governo nella Nadef. La Germania è il nostro principale partner commerciale in Europa, Pechino è in crisi nera, la Russia isolata dalle sanzioni. C’è poco da fare.

Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch sembrano però non vedere oltre il proprio naso. Paiono dimenticarsi che certo, il debito pubblico è enorme ma gli fa da contrappeso un altrettanto pingue risparmio privato. Tutta benzina che se fosse messa nel motore del Pil metterebbe il turbo al paese.

Quest’anno la ricchezza finanziaria aggregata di famiglie e imprese ha raggiunto la vetta “himalayana” di 8.300 miliardi, in valore assoluto si contano 316 miliardi in più rispetto al 2023 (+3,9%). Esemplificando, si tratta del valore di  azioni, bond, fondi comuni, polizze vita e ogni altro investimenti mobiliare nelle casseforti di famiglie e imprese

Il dato aggregato rappresenta il 42% dell’intera ricchezza finanziaria italiana, che ammonta a 19.613 miliardi. Evidente, insomma, la centralità dei privati per sostenere la ripresa del Pil. In particolare – fa i conti Unimpresa sulla base delle statistiche di Bankitalia – le riserve, i fondi e i valori mobiliari delle famiglie sono saliti nel 2024 a 5.727 miliardi, registrando un aumento di 217 miliardi (+3,9%) rispetto all’anno precedente. La ricchezza finanziaria delle imprese raggiunge invece 2.579 miliardi a metà dell’anno in corso, in crescita di 99 miliardi rispetto al 2023 (+4%).

Tra i maggiori detentori di ricchezza, ci sono le banche e i fondi comuni, con una dote complessiva 5.001 miliardi, in calo di 125 miliardi rispetto al 2023 (-2,4%) e di pari importo rispetto al 2019. Non conosce crisi poi la passione per l’Italia degli investitori stranieri, la cui scommessa sul paese ha raggiunto 3.442 miliardi, con un aumento di 78 miliardi rispetto al 2023 (+2,3%) e di 480 miliardi rispetto al 2019 (+16,2%).

Tutto questo, malgrado i tanti difetti che affliggono il sistema Italia. Facile pensare insomma che cosa accadrebbe se il Paese non fosse ostaggio di una burocrazia spaventosa, di una giustizia che ha un passo da lumaca e di sindacati “maestrini” del dissenso e dello sciopero a priori  come la Cgil di Maurizio Landini.

Tutti problemi che si ripercuotono, oltre che sulla capacità di attrarre investimento dall’estero, anche sulla competitività delle imprese del made in Italy. Con l’esito di comprometterne la produttività, la capacità di investire, le possibilità di crescere e quindi anche di pagare di più i propri dipendenti. Tanto che i salari in Italia, come lamentano i sindacati, sono sovente più bassi rispetto alle equivalenti posizioni oltre confine.

Eppure c’è chi a sinistra ancora sbraita per la patrimoniale. Si prefigge di penalizzare, facendo esplodere una nuova granata di tasse, quella ricchezza di famiglie e imprese che, se fosse ben utilizzata sarebbe un volano per la ripresa economica del Paese.

Sembra la stessa miopia preconcetta che circonda il progetto del governo per tornare al nucleare o la realizzazione delle grandi opere, a partire dalla Tav, dalla Gronda di Genova o dal Ponte sullo Stretto di Messina. Tutti passi necessari per il Paese.

Ma torniamo al tesoro da 8.300 miliardi inutilizzato. “La liquidità e la stabilità patrimoniale delle famiglie rappresentano un’opportunità unica che il governo dovrebbe cogliere per mobilitare, definitivamente e con convinzione, questo capitale verso obiettivi di crescita sostenibile. L’aumento della ricchezza finanziaria delle imprese non è solo un indicatore di solidità, ma anche un segnale della loro capacità di reinvestire nel tessuto produttivo. Per massimizzare l’impatto di questa ricchezza, è essenziale sviluppare politiche mirate, come agevolazioni fiscali, incentivi all’innovazione e al credito, che consentano alle imprese di destinare maggiori risorse a nuovi progetti e alla creazione di posti di lavoro”, commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.

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