Finanza

Macigno debito, Tim ancora sotto attacco in Borsa

Il gruppo integra il piano industriale e vede l’indebitamento a 7,5 miliardi. Crolla il titolo, occhi puntati sulla Consob

tim crollo titolo © blueshot tramite Canva.com

Nuovo fuoco di sbarramento contro il titolo Tim in Piazza Affari che, mentre scriviamo, sta cedendo il 4% e passa ormai di mano a poco più di 21 centesimi.

La Borsa teme che il gruppo di telecomunicazioni non abbia l’ossigeno per essere “libero di correre”, come invece annuncia nel suo nuovo piano industriale. Il problema principale resta il macigno dell’indebitamento, che ora è atteso a circa 7,5 miliardi alla fine di quest’anno.

In sostanza, Tim si ritrova ai piedi un peso peggiore di 1,4 miliardi rispetto alle attese. La causa è l’allungarsi dei i tempi per completare la prevista cessione della rete al fondo americano Kkr con accanto il ministero dell’Economia per garantire l’italianità di un asset ritenuto strategico dal governo. Tanto che il debito pro-forma al netto dell’operazione Netco, era stimato prossimo a 6,1 miliardi allo scorso 31 dicembre.

Tutto questo comprimerà gli utili di Tim ancora per qualche tempo. Tanto che il flusso di cassa netto nel 2025 risulterà pressoché nullo e poi si attesterà a circa 500 milioni nel 2026.

A diffondere i numeri alla comunità finanziaria è stata ieri mattina la stessa società dopo il cda straordinario convocato domenica per cercare di rimediare al capitombolo del 23% subìto giovedì scorso in Piazza Affari.

Ad affossare le quotazioni stanno contribuendo, comunque, sia le strategie ribassiste dei fondi hedge sia gli algoritmi utilizzati dai grandi investitori che, quando un titolo azionario si avvita, vendono in automatico per cercare di ridurre i danni nel portafoglio dei sottoscrittori. Sono le cosiddette “stop loss”: in mattinata il tonfo aveva superato anche gli 8 punti percentuali.

Tim ha confermato gli obiettivi del piano industriale, lasciando intravedere possibili miglioramenti conseguenti alle plusvalenze dello scorporo della rete e della prevista cessione di Sparkle; si tratta della società che possiede i cavi sottomarini su cui passano le comunicazioni intercontinentali insieme ai nostri dati sensibili. Ma non è bastato.

Delusione degli analisti a parte, viene da chiedersi quale sarà il verdetto dell’esame avviato dalla Consob sul turbine di scambi che sta interessando il titolo Tim: in mezza giornata è passato di mano un quantitativo di azioni pari al 5% del capitale. La missione dell’Authority è vigilare sul buon funzionamento del mercato, garantendone la massima trasparenza.

Il timore è che dietro le vendite allo scoperto degli hedge fund, ci possa essere un regista che vuole bloccare la cessione della rete. E, di conseguenza ottenere la testa dell’amministratore delegato di Tim. Nel frattempo c’è già chi, davanti al flop delle quotazioni, ipotizza un passo indietro del direttore finanziario Adrian Calaza.

Non è comunque un segreto che tra gli investitori insoddisfatti della cessione della rete, perlomeno ai valori concordati, figuri la stessa Vivendi, tanto dall’aver già deciso di intentare una causa al tribunale di Milano

Il gruppo televisivo francese è il primo azionista di Tim con il 23,7% e fa capo alla famiglia del finanziere bretone Vincent Bollorè. Una figura ben nota in Italia anche per la fallita scalata a Mediaset che ha tentato qualche anno fa, quindi quando era ancora vivo Silvio Berlusconi.

Quello che è certo è che Tim ha perso in Borsa quasi un terzo del suo valore in soli tre giorni. Uno score così drammatico usciva di rado anche al “pallottoliere” del Nuovo Mercato, il segmento con cui Borsa Italiana aveva pensato di dare spazio al fenomeno della cosiddetta “new economy”.

Correvano gli anni 1999-2000 e Internet era ai suoi albori. Presto il crollo delle società tecnologiche avrebbe ustionato le speranze della grand parte degli improvvisati piccoli investitori che, reduci dalla sicurezza dei Bot, avevano immaginato che fare trading online dal pc di casa fosse quasi come tentare la fortuna compilando la schedina al bar. Salvo poi doversi curare le ferite.

Sia chiaro, Tim è un’altra cosa rispetto alle start-up che affollavano il Nuovo mercato. Tim è il principale gruppo tlc italiano, vede Cdp (cioè il ministero del Tesoro) tra i suoi grandi azionisti e controlla asset strategici per il Paese, che Labriola vuole appunto mettere in mani sicure con lo scorporo creando una società di servizi ServCo e una per al rete NetCo.

Il gruppo non riesce tuttavia a liberarsi dal fardello del debito e combatte contro competitor molto agguerriti sul fronte dei prezzi. Il tutto in un momento di forti cambiamenti del mercato sia per l’avanzata della low cost francese Iliad sia perché Vodafone sta trattando in esclusiva con Swisscom, che controlla Fastweb, per cedere le proprie attività in Italia.

In conclusione, investire in Borsa è un lavoro da professionisti. E’, quindi, sempre opportuno appoggiarsi ai consigli di un consulente di fiducia e proteggersi dalle ondate speculative dietro allo scudo dei fondi o degli Etf. Solo in questo modo si potrà ottenere la massima diversificazione possibile e quindi ridurre il rischio di perdere denaro.