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Perchè l’Italia ha bisogno del TAEG delle tasse

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La ricetta sarebbe “relativamente” semplice. Semplificazione totale degli adempimenti, recupero strategico e “politico” di base imponibile, frazionamento del terzo scaglione Irpef, equità tra lavoratori dipendenti e autonomi ma, soprattutto, TAEG delle tasse. Sono solo alcuni degli obiettivi a cui dovrebbe tendere il progetto di riforma fiscale allo studio del Governo.

 

D’altra parte, ne siamo tutti consapevoli: negli ultimi 20 anni ci sono stati numerosi interventi fiscali poco coordinati che rendono il nostro sistema profondamente diseguale. Per questo, al di là del Recovery Plan, questo Paese ha bisogno di una riforma fiscale complessiva da realizzare con un approccio molto pragmatico e non ideologico.

Senza, quindi, la solita diatriba fra chi vorrebbe introdurre una flat tax e chi invece propone sistemi di tassazione che colpiscano i patrimoni più alti per assicurare una progressività che già vede, in realtà, scaloni profondi e non equi tra le diverse classi di reddito.

Ma la cosa più importante è che, fra le priorità assolute dell’Esecutivo dovrebbero esserci misure che facciano riemergere una base imponibile che si potrebbe definire (in maniera elegante) assolutamente risibile, e che non penalizzino il trasferimento di ricchezza.

Ecco perché introdurre nuove tasse successorie sul patrimonio, oltre a quelle già esistenti, sarebbe abbastanza inutile. E questo, naturalmente, al di là delle finalità di supporto ai giovani su cui non si discute l’orizzonte, ma di cui si deve assolutamente sindacare l’ennesima logica da “bonus economy”.

Non solo una simile manovra avrebbe un gettito molto basso per lo Stato (gli slogan sono importanti ma i dati sono tutto: basta controllare), ma inasprire le tasse di successione in un momento storico in cui oltre quattro milioni di imprese stanno compiendo il passaggio dalla prima alla seconda generazione di imprenditori (circa il 70% delle nostre PMI attuali) significherebbe privarle della liquidità necessaria per investire nel rilancio post-pandemia.

D’altra parte, gli specialisti sanno bene come i patrimoni medi (tipo come quelli tra i 5 milioni e i 10 milioni di €) hanno logiche di ottimizzazione fiscale che li farebbe sfuggire a molte nuove tasse ereditarie. Dei grandi patrimoni poi è inutile parlare perché sono come le Big Tech. Senza azioni coordinate a livello OCSE, ottimizzano sempre dove si paga di meno. E, fino a quando la regolazione lo consente, hanno ragione loro. E’ lo Stato di diritto. Anzi, il diritto degli Stati.

Detto questo, la domanda successiva deve essere molto “laica”: nel nostro Paese, la tassazione successoria è veramente troppo bassa? Sicuramente non è alta anche se l’importante sarebbe non guardare alla singola tassa ma, come sempre, all’impatto strategico dell’insieme della fiscalità.   

Molti, infatti, citano le aliquote della tassazione successoria degli Sati Uniti (a parte il fatto che la franchigia parte da 10 milioni di dollari), ma altrettanti fanno finta di non sapere che la pressione fiscale complessiva USA si è praticamente dimezzata da Reagan in poi. Nello stesso periodo, nel nostro Paese, il livello di pressione fiscale è progressivamente aumentato al punto di farlo diventare, corretto con il tasso di evasione, uno dei primi 3 dell’intero pianeta, con un livello medio intorno al 53%, tra tasse locali e nazionali.

Con in più una base imponibile “ridicola” (diciamo le cose come stanno) in cui, su circa 41 milioni di contribuenti, solo circa 30 milioni pagano almeno 1 euro di Irpef. Come dire: il 50% degli italiani paga le tasse (e i servizi dello Stato, sanità compresa) per il restante 50%, e il 13% dei contribuenti (quelli sopra i 35mila €) versa circa il 60% dell’Irpef stessa. E qualcuno vuole far pagare ancora di più questi 5 milioni e 300mila cittadini che già pagano più di tutti?

Ecco perché l’aumento della tassazione sulle successioni, in mancanza di riduzione di altre tasse, andrebbe ad aggiungersi alla pressione fiscale complessiva (comunque alta sul capitale e profonda sul lavoro in termini di valori totali) che contribuisce a disincentivare il business nel breve e la crescita globale nel medio lungo periodo. Anche a prescindere dal nero e dalla bassa produttività complessiva del nostro Paese.

Ok allora alla semplificazione e all’allargamento della base imponibile, ma la vera grande novità del nostro sistema fiscale dovrebbe essere la consapevolezza di ciascuno di noi di quanto paghiamo realmente di tasse. È per questo che abbiamo bisogno del TAEG delle tasse.

Le domande sono tante: perché non dobbiamo capire quanto ognuno di noi paga complessivamente di tasse in termini comprensibili a tutti? Perché non dobbiamo sapere quale sia la differenza in più o in meno, anno su anno, in termini complessivi tra imposte dirette e indirette, a livello nazionale e a livello locale? Abbiamo codici fiscali, identità digitali e tracciatura elettronica? Perché allora non si può fare? Alle banche il TAEG è richiesto: perché allo Stato no? C’è una volontà di rendere opaco il sistema? E da parte di chi?

E, invece, sarebbe importante un TAEG comprensibile a tutti, un indice sintetico di costo rispetto al reddito e al patrimonio utile a capire come cambiano le tasse ad ogni provvedimento nazionale, regionale e comunale. E, dunque, se si alzano o se si abbassano, sia per le persone che per le imprese: guadagno 100 nel corso dell’anno 2021? Quanto pago “complessivamente” in termini percentuali? Il 15, il 20, il 50 per cento? Tutto questo significa che, guadagnato 100, mi rimane, al netto delle tasse, un ammontare pari a… La felicità di ogni risparmiatore.

E “complessivamente” vuol dire “tutto compreso”, che siano imposte sulle persone (Irpef nazionale), sulle società o su parti del valore aggiunto dei servizi locali (Irap), ovvero sulle tasse locali/territoriali (Local Tax), solo per citare alcune delle tasse che andrebbero ricomprese nel totale del TAEG. Una misura sintetica e chiara a tutti per cui basterebbe usare l’App IO.

Così poi gli stessi tutti potrebbero fare scelte più consapevoli sulle proprie risorse e sulle azioni di chi li sta governando.

 

Angelo Deiana