Finanza

Scoppia la guerra degli alcolici, la Cina contro brandy e cognac europei

Pechino apre un’indagine antidumping, danneggiata anche Campari. E’ la risposta all’offensiva Ue sulle auto elettriche del Dragone

La Cina dichiara guerra ai liquori made in Europe

Guerra di “spiriti” tra la Cina e l’Europa. Pechino, alquanto infastidita per l’indagine Ue sulle sue auto elettriche con l’ipotesi di concorrenza sleale, ha messo nel mirino i liquori made in Europa. Soprattutto brandy e cognac.

La rivalsa del Dragone, che dichiara di muoversi su pressione della propria associazione nazionale dei liquori, prevede l’apertura di un dossier antidumping sugli spirits prodotti nei contenitori di capacità inferiore a 200 litri.

Colpiti soprattutto i produttori francesi di brandy e cognac. Ma paga dazio anche Campari: la multinazionale delle bevande ieri in Piazza Affari è arrivata a perdere più del 2% per poi chiudere riducendo i danni, ma comunque sotto la soglia psicologica dei 10 euro. A picco invece alla Borsa d’Oltralpe Remy Cointreau (-12%) e Pernod Ricard (-3,6%).

Sotto la Grande Muraglia l’alcolico che va per la maggiore continua a essere il locale Baiju. Per quanto il consumo di liquori europei da parte del Paese asiatico sia ancora relativamente limitato, quello che preoccupa sono però le prospettive. Perché proprio l’Oriente è considerato dai big degli spirits, Campari compresa, come il prossimo terreno di conquista.

C’è poi da scommettere che la reazione cinese non si fermerà a brandy e cognac, ma si allargherà ad altri settori commerciali. Proprio la Francia era stata tra i grandi sostenitori dell’offensiva di Bruxelles contro le auto con la spina cinesi e ora paga le conseguenze nel bicchiere.

A novembre la Commissione Ue ha messo dazi  su alcuni prodotti in plastica made in China. Vedremo quale sarà il prossimo Paese con cui se la prenderà la “fabbrica del mondo”.

Si stima, infatti, che nei primi undici mesi dello scorso anno la Cina mentre importava bottiglie di brandy per un controvalore di 1,5 miliardi di dollari, esportava i suoi veicoli elettrici nel Vecchio continente per 12,7 miliardi. Con un guadagno secco, quindi, di 11 miliardi.

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Non abbastanza, evidentemente, per lo “Zar rosso” Xi Jinping alle prese con un Pil ingessato a una crescita inferiore al 5%, pochissimo per la Cina, dopo i lockdown draconiani con cui il Paese ha ritenuto di contrastare il Covid. Per non parlare della bomba dell’immobiliare che, dopo il crac miliardario di Evergrande, ha visto ora portare i libri in tribunale Zhongzhi (140 miliardi di asset in gestione) .