Un piano da 2 miliardi per rimettere l‘Italia al centro della produzione di Stellantis. E’ la promessa contenuta nel piano che il gruppo automobilistico ha presentato ieri al tavolo in agenda al ministero delle Imprese, dopo il licenziamento dell’amministratore delegato Carlos Tavares.
Il capo dell’Europa, Jean-Philippe Imparato, ha assicurato che tutti gli impianti italiani resteranno in funzione (anche se non si sa con quale capacità produttiva) e che la produzione crescerà nel 2026 sebbene nessuno si sbilanci sull’obiettivo di un milione di auto chiesto dal governo. Una quota siderale rispetto ai dati attuali, come dimostrano anche i conti semestrali di Stellantis.
In ogni caso, il top manager franco-italiano ha assicurato che i posti di lavoro sono salvi grazie all’arrivo di nuovi modelli. In particolare, allo stabilimento simbolo di Mirafiori con la famiglia Agnelli – oggi paralizzato da una vasta cassa integrazione – saranno affidate la 500 ibrida alla fine del prossimo anno e i nuovi modelli elettrici dal 2029.
Pomigliano si occuperà invece di mettere su strada due compatte e continuerà a produrre la Pandina fino al 2030. Due i nuovi modelli anche a Melfi, mentre Cassino guadagna una vettura premium da affiancare e alle Alfa Stelvio e Giulia. Si tratterà perlopiù di vetture ibride. Novità anche per i veicoli commerciali ad Atessa mentre il Polo del lusso sarà a Modena.
Resta invece congelata la partita della Gigafactory di Termoli, dopo la decisione di realizzarne una in Spagna. Soddisfatto il ministro delle Imprese Adolfo Urso che ha parlato di “vittoria” dinanzi a un piano di Stellantis che “dà riscontro alle istanze” dell’esecutivo. Presenti all’incontro, per le evidenti ricadute dell’accordo, anche il titolare del Tesoro Giancarlo Giorgetti e del Lavoro Marina Elvira Calderone.
In cambio il governo si prodiga per provare a rilanciare il settore dell’automotive nel nostro Paese stanziando 1,6 miliardi nel triennio 2025-2027, di cui già 1,1 miliardi il prossimo anno. Una cura d’urto per un comparto oggi messo in ginocchio dalla transizione elettrica.
Le risorse saranno destinate soprattutto a sostegno dell’industria, a partire dalla componentistica; soldi quindi non per pagare cassa integrazione ma per favorire il lavoro. Allo stesso modo il ministro Calderone ha detto che l’esecutivo tutelerà l’indotto.
Visibilmente soddisfatta l’Anfia, l’associazione che rappresenta la filiera, che apprezza “fortemente la dichiarazione di voler rinvigorire e migliorare i rapporti con i fornitori italiani, suffragata anche dalla nomina di una referente per l’Italia”. Detto questo il fondo automotive è però considerato ancora non sufficientemente robusto.
Di diverso tono le dichiarazioni dei sindacati che, in estrema sintesi, recepiscono l’apertura politica di Stellantis ma aspettano di vedere la traduzione concreta del Piano Italia di Stellantis. Imparato ha sottolineato che il gruppo sosterrà l’impegno sottoscritto con il governo attingendo a risorse proprie, quindi “senza qualsiasi forma di incentivo pubblico alla produzione”. Si vedrà.
La vera sfida ora resta fermare la follia del tutto elettrico che ha reso l’industria dell’auto europea, prima un fiore all’occhiello a livello tecnologico, un facile bersaglio per i produttori cinesi che sono pronti a invadere il mercato. Lo stesso Tavares aveva firmato un accordo con Leapmotor, trasformando di fatto le filiali di Stellantis in una sorta di “cavallo di Troia” per Pechino.
Il settore chiede di cancellare le maxi-multe previste per le case Ue che non centrano gli obiettivi sulle emissioni posti per il 2035; da qui si potrà poi partire per tracciare una nuovo percorso green. Possibilmente meno ideologico e, soprattutto, più intelligente. Ma forse è troppo chiedere tanto ai burocrati che manteniamo a Bruxelles.
Solo ieri il presidente Jonh Elkann ha accettato, dopo mesi di proposte cadute nel vuoto, l’invito del Parlamento a recarsi in aula per illustrare il progetto e il futuro di Stellantis e degli stabilimenti italiani.