Stellantis toglie la corrente alle catene di montaggio di Mirafiori, impianto simbolo del potere degli Agnelli dal 1899 a oggi. Dopo il provvedimento che ha interessato la linea che assemblea le sportive a blasone Maserati, a cui lavorano 968 persone, arrivano i contratti di solidarietà anche per i 1.174 operai che realizzano la Fiat 500 elettrica.
L’accordo siglato con i sindacati prevede riduzione dell’orario di lavoro fino all’80%. Perché, da quanto si vocifera nei corridoi dell’impianto torinese, gli ordini sarebbero così scarsi da far presagire un risultato molto deludente a maggio.
In sostanza, da qui al 4 agosto Mirafiori terrà i cancelli perlomeno semi-chiusi. Poi tutti in ferie, come da tradizione italiana, fino a inizio settembre. Una tenue speranza per richiamare al lavoro qualche tuta blu è agganciata agli incentivi pubblici che potrebbero partire a inizio maggio.
Visto la tenue passione degli italiani per l’elettrico, pare tuttavia ingenuo pensare che qualcosa possa cambiare in modo sostanziale nell’impianto sabaudo.
Per amor di precisione, nella cattedrale del deserto di Mirafiori qualche reparto rimarrà pienamente operativo fino a inizio agosto, per esempio quello incaricato di realizzare i cambi per la Fiat Panda prodotta a Pomigliano d’Arco. Ma non le catene di montaggio principali di un impianto sterminato nelle dimensioni.
Tanto che quello di Mirafiori appare ormai più simile al capezzale italiano dell’auto che non, come ha dichiarato l’amministratore delegato Carlos Tavares, al polo elettrico e dell’economia circolare di Stellantis. Senza contare i severi e generalizzati tagli al personale già decisi da Tavares davanti alla crisi degli impianti italiani per mancanza di nuovi modelli.
Il gruppo franco-italiano sta traslocando sempre più all’estero, alla ricerca di migliori condizioni: la Panda elettrica sarà infatti prodotta in Serbia, dicendo “ciaone” a Pomigliano. Senza contare che anche l’alleata LeapMotor ha scelto la Polonia per la sua nuova piccola, assestando così uno schiaffo a Mirafiori.
Malgrado questo nella lettera da poco inviata agli azionisti della holding Exor, a cui fa capo il 14% di Stellantis, il presidente John Elkann, cioè il principale erede dell’avvocato Agnelli, paragona le scelte del manager portoghese al coraggio dimostrato dallo scomparso Sergio Marchionne.
Quest’ultimo, però, con la sua abnegazione e la capacità di trattare, aveva salvato l’allora Fiat dal baratro ottenendo una montagna di soldi da General Motors per sciogliere l’accordo di vendita e poi ha conquistato Chrysler. Quella di Marchionne è insomma stata la riscossa industriale italiana più grande del secondo Novecento.
Per approfondire leggi anche: Stellantis si rimangia il nome “Milano”, il nuovo suv dell’Alfa Romeo si chiamerà “Junior”.
In conclusione, l’obiettivo del governo di produrre un milione di auto lungo lo Stivale con i siti Stellantis equivale a un miraggio. Per certi aspetti ricorda l’umorismo amaro dei film di Alberto Sordi. Da qui il tentativo di coinvolgere i cinesi di Dongfeng o di Chery, che però userebbero il nostro Paese come un avamposto, quindi come un cavallo di Troia, per espugnare il mercato europeo.