Tim cede al fondo americano Kkr la sua “rete”, cioè l’erede di quel doppino in rame che per decenni aveva contraddistinto il gruppo rispetto ai concorrenti. Perchè permetteva all’allora Telecom Italia, un tempo monopolista, di entrare direttamente in tutte le case degli italiani e nelle imprese per portare la voce alla cornetta del telefono e poi, con l’avvento di Internet, anche i dati e tutti i successivi servizi digitali. La decisione di vendere è stata presa ieri a maggioranza dal consiglio di amministrazione di Tim (3 su 11 i voti contrari), dando mandato di finalizzare l’accordo all’amministratore delegato Pietro Labriola, autore due anni fa del piano per separare i servizi dalla rete. Non ci sarà alcun passaggio in assemblea degli azionisti, nè ordinaria nè straordinaria nè semplicemente consultiva.
L’operazione vale fino a 22 miliardi e permetterà a Tim di tagliare di circa 18 miliardi il debito, oggi tanto pesante da essere una palla al piede per il suo sviluppo, sopratutto con i tassi di interesse crescenti della Bce. Più che i tecnicismi finanziari quello che conta qui rimarcare è, tuttavia, che la rete di Tim è ritenuta dal governo Meloni un asset strategico per la competitività del nostro Paese. Tanto che il riassetto avrà, dopo la vendita a Kkr, una fase due, per consentire allo Stato di tornare in partita. La mano pubblica dovrebbe rilevare una quota fino al 20% del capitale della nuova società della rete, mentre un altro 10-15% dovrebbe finire a F2i, una sorta di fondo sovrano italiano che investe in infrastrutture e che vede tra i propri azionisti Intesa Sanpaolo e Unicredit, nonchè alcune delle principali fondazioni bancarie e casse di previdenza. In parallelo la rete di Tim dovrebbe essere integrata con quella di Open Fiber, oggi controllata al 60% da Cassa depositi e Prestiti (quindi dal ministero dell’Economia) e dal fondo australiano Macquarie. Non per nulla ieri il presidente di Cdp, Giovanni Gorno Tempini era assente al cda di Tim, di cui la Cassa possiede il 10% circa, per evitare profili di conflitto di interesse.
In sostanza, se il governo ha deciso con la Legge di Bilancio di procedere ad alcune privatizzazioni, come Alitalia o Monte dei Paschi, nel caso della rete di Tim accadrà l’opposto e lo Stato investirà i soldi dei contribuenti. L’obiettivo è tenersi stretto un asset “delicato” sia dal punto di vista della competitività del Paese per la digitalizzazione sia della privacy e della sicurezza nazionale. Accanto alla rete c’è infatti Sparkle, società che gestisce i cavi transoceanici e che rappresenta il quinto fornitore al mondo di servizi di telecomunicazioni internazionali per traffico Internet. A meno di sorprese dovrebbe essere acquisito direttamente dal Tesoro.
La francese Vivendi, prima azionista di Tim con il 23% circa, però si oppone, nella convinzione sia che la rete valga di più sia che la decisione spettasse all’assemblea dei soci. Sta quindi per partire una nuova guerra legale, che darà non poco filo da torcere agli specialisti del settore ma porterà anche altre laute parcelle. E’ tuttavia probabile che, magari con un allungamento dei tempi, l’operazione sarà condotta in porto. Il governo ha infatti dalla sua la possibilità di esercitare il regime del golden power, cioè i poteri speciali che gli consentono di porre precisi paletti all’acquisto di asset strategici, come è nel caso della rete di Tim. Non per nulla, l’esecutivo aveva già più volte fatto capire a Vivendi che la strada fosse tracciata e lo stesso è accaduto nei giorni scorsi nei confronti del cosidetto “contropiano” avanzato dal fondo Merlyn e da alcuni considerato poco più di un’azione di disturbo.
L’idea di Labriola è di completare il riassetto entro la prossima estate, quando esisterà una società della rete sotto l’occhio attento dello Stato e una Tim quotata in Borsa, tutta dedicata ai servizi. Al momento, quindi, nulla cambia per le famiglie e le imprese clienti del gruppo telefonico. Resta, tuttavia, da capire che cosa farà Vivendi se, come pensano molti osservatori, perderà la guerra in tribunale sulla rete. L’eventuale uscita dei francesi da Tim potrebbe infatti aprire la strada a un ulteriore passaggio di consegne anche nella parte servizi, magari con l’arrivo di un nuovo socio industriale o direttamente con un consolidamento. Il titolo Tim oggi in Piazza Affari è in forte altalena (dopo uno strappo al rialzo, è ora in forte flessione), con gli analisti alla finestra.