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Carburanti sintetici, la svolta?

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Da mesi imperversa la battaglia per la supremazia nel settore dell’energia destinata alla mobilità globale, via terra, aria ed acqua; tema diventato cruciale ed arma di scambio al fine di risolvere le grandi questioni geopolitiche che in questo momento storico sono causa di crisi che tutti conosciamo.

 

Sono molteplici, infatti, gli esperimenti, sebbene modelli regolarmente sul mercato, di auto, aerei e persino yacht ad idrogeno, ad esempio; ed è molto probabile che i principali produttori impegneranno sempre maggiori quantità di risorse per la ricerca e lo sviluppo in ambito di carburanti biologici, o sintetici, quali reali alternative sia all’elettrico che ai tradizionali diesel, benzina e GPL.

 

Il pomo della discordia, o alibi, sono le emissioni globali che l’attuale sistema di mobilità genera in tutto il pianeta e che sono erroneamente (o scientemente?) considerate il principale elemento da ridimensionare, o addirittura azzerare, al fine di preservare l’integrità futura dell’ecosistema (ulteriore alibi tirato fuori, indistintamente da qualsiasi Governo, pro domo propria quando conviene).

 

Il sistema di mobilità, infatti, è soltanto una parte del problema legato alle emissioni la cui incidenza non è degna di rilievo se paragonata ai reali produttori di inquinamento, ovvero i sistemi industriali con i relativi settori di trasformazione che rilasciano nell’atmosfera quantità incalcolabile di agenti inquinanti quali ossidi di azoto, diossidi di zolfo, polveri, composti organici volatili ed altri elementi.

 

Ciò non declassa, naturalmente, a questione di second’ordine, l’impegno per la riduzione delle emissioni nel settore della mobilità ma senza ombra di dubbio i maggiori benefici per l’ambiente li avremo quando tutti i sistemi industriali avranno convertito i loro impianti fino ad azzerarne le emissioni ed utilizzando, quali fonti di energia, le rinnovabili.

 

Pertanto, l’accanimento sul tema della riduzione delle emissioni da mobilità attribuisce al settore automotive, e di propulsione in senso lato, un peso specifico maggiore dei danni che produce attualmente per il solo fatto che intorno ad esso gli interessi in ballo sono molteplici e, come inizialmente menzionato, sono anche armi di scambio per dirimere contese internazionali.

 

Non è affatto una coincidenza che la spinta alle transizioni, digitale ed energetica, siano giunte, rispettivamente, durante la diffusone del COVID e dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino; ovvero, nel primo caso quando la mobilità e gli interscambi erano paralizzati e nel secondo quando il prezzo dell’energia, e delle materie prime per ottenerla, è arrivato alle stelle … e della tutela dell’ambiente nessuna traccia.

 

Ecco perché parlo di alibi sebbene la difesa dell’ecosistema sia fondamentale per la sopravvivenza del pianeta, soprattutto in ottica di aumento della popolazione mondiale che costituisce la vera sfida per il futuro: sfamare tutti tenendo conto che non tutti avranno un lavoro.

 

Il tentativo d’imporre il tipo di tecnologia da utilizzare al fine di ridurre le emissioni nel settore della mobilità (perché è di imposizione che si tratta) non è altro se non il prezzo da pagare per salvaguardare interessi di pochi piuttosto che l’ecosistema di tutti. E l’Unione Europea, per scelta (errata o interessata) ha deciso di restar fuori da queste dinamiche decisionali che, se portate a termine, garantirebbero roseo futuro alla Cina, di riflesso agli USA, e nessun beneficio al vecchio Continente.

 

Ecco perché Italia e Germania in primis hanno puntato i piedi deviando la strada maestra indicata dall’Unione Europea, dietro indicazioni USA, al fine di non devastare i propri sistemi industriali e preservare occupazione ed esportazioni nei settori meccanici, della componentistica ed automotive nella sua globalità.

 

La via indicata, infatti, quale alternativa all’assurda pretesa dell’assolutismo dell’electrified world, punta proprio in direzione e-fuel, ossia di quei carburanti cosiddetti biologici, o sintetici perché prodotti da fonti rinnovabili e ad emissioni praticamente zero come nel caso dell’idrogeno principalmente.

 

I primi ad investire in maniera massiccia in tale ambito, neanche a dirlo, sono stati i tedeschi con Porsche ed Audi che hanno stanziato svariate centinaia di milioni per allestire impianti di produzione in America Latina, Cile, punta Arenas, per quanto riguarda Porsche con fondi iniziali per 75 milioni di dollari (produzione di idrogeno) ed in Germania, a Dresda, dove Audi ha creato un impianto per produrre e-diesel mettendo sul tavolo altrettanti milioni, di euro in questo caso.

 

Molto presto, da quelle che sono le intenzioni del nostro attuale Esecutivo, anche l’Italia seguirà inevitabilmente la strada tracciata dai tedeschi, tra l’altro già sfidati dal Giappone con il consorzio composto da Toyota, Subaru, Suzuki e Dahiatsu creato proprio per la ricerca e lo sviluppo di e-fuel e biocarburanti.

 

Questo nuovo assetto, i cui fautori sono, caso strano, le tre nazioni sconfitte nella Seconda Guerra Mondiale, renderà pan per focaccia agli accordi decisi quasi sottobanco tra Cina, Stati Uniti e parte dei vertici dell’Unione Europea cui non si sono accodati tutti gli Stati Membri facendo crollare parte delle fondamenta del castello elettrico nella cui sala del trono campeggia il Re indiscusso delle terre rare Xi Jinping nonché arbitro deputato a dirimere le grandi controversie del pianeta.

 

Ora si tratta soltanto di capire se l’Unione Europea vuol diventare realmente protagonista e preservare il proprio sistema industriale, produttivo ed occupazionale o delegare tutto agli Stati Uniti in cambio di protezione da Putin.

Una cosa è assodata ed è che la salvaguardia dell’ambiente è soltanto una formalità contrattuale e non sostanziale perché se l’UE prendesse il coraggio che è mancato finora significherebbe, innanzitutto, riprendere la via della diplomazia con la Russia e scontentare in primo luogo gli USA; la Cina ne uscirebbe in ogni caso indenne perché se la svolta elettrica non dovesse prendere la piega auspicata ha già il piano B che si chiama Taiwan.

Antonino Papa, 28 marzo 2023