L’alibi, o pretesto della salvaguardia dell’ambiente, sta forzando la transizione anche nel campo dei motori, ammesso che si possano definire ancora tali i congegni che muovono le auto elettriche.
In realtà di salvaguardia e protezione per l’ambiente non v’è neanche l’ombra perché, emissioni a parte, lo smaltimento delle batterie costituisce un enorme problema che non è ancora stato affrontato a livello globale ed oltretutto l’inquinamento che deriva da questo processo è di gran lunga maggiore di quanto ipotizzato; in pratica la mobilità elettrica (a batterie) non è affatto la soluzione per tutelare l’ecosistema.
In gran parte la spinta alla diffusione delle auto elettriche è una grande operazione di imperialismo capitalista i cui principali attori sono i cinesi, avendo acquisito gran parte delle terre rare a livello mondiale.
Da tempo, infatti, la Cina sta imponendo le proprie scelte “ricattando” il mondo con il controllo di produzione ed esportazione, sia di materie prime necessarie all’assemblaggio di dispositivi elettronici sia con il monopolio della produzione stessa, vedi Taiwan che è praticamente cinese nonostante i vani tentativi occidentali di fermarne il processo di annessione.
Dall’altro lato, intanto, il petrolio ha ancora lunga vita, anzi lunghissima e non finirà prima di 50-60 anni, un periodo sufficientemente lungo per poter inventare altre soluzioni per la mobilità; i motori a scoppio non sono ancora morti e fermarne il progresso significa azzerare tutto un mondo che vive da oltre un secolo producendo auto che si muovono grazie a designers ed ingegneri che hanno fatto la storia dell’automobile che non può essere ridotta alla stregua di un computer con un colpo di spugna.
E di storia l’industria automobilistica è piena a tal punto che i possessori delle cosiddette auto iconiche, oggi dal valore inestimabile, sono alquanto preoccupati perché se si elimina la risorsa necessaria a completare la valorizzazione di un’auto, ovvero il fatto che sia perfettamente funzionante e si possa muovere, le quotazioni crollerebbero di colpo, nonostante si tratti di pezzi rari.
L’auto non è un quadro, ovvero arte immobile, è un mix di arte mobile ed è tale proprio perché non privata della facoltà di movimento.
Molti brands automobilistici stanno facendo di tutto per far digerire ai clienti storici, ma anche ai puristi meccanici, il passaggio all’elettrico; addirittura, Ferrari ha brevettato un sistema per aggiungere il classico rombo dei motori a combustione ai nuovi modelli elettrici … ma non sarà la stessa cosa.
Un V12 non potrà mai essere sostituito da una batteria, una serie di ingranaggi che si muovono all’unisono con una perfezione maniacale non possono essere sostituiti da microchips e tantomeno le sensazioni di guida.
Non è minimamente immaginabile, ad esempio, una Ferrari 275 GTB elettrica, così come una BMW M a batteria o ancora una Porsche 911 Carrera S che sfreccia nel silenzio assoluto, e così di seguito.
Tutto ciò, purtroppo o per fortuna (dipende dai punti di vista), è già realtà ed è alquanto difficile, ad esempio, trovare motori diesel performanti perché le case automobilistiche ne stanno man mano cessando la produzione, sempre in virtù di una paventata tutela ambientale che di fatto non esiste, come anche sostiene il CEO di Toyota, Akio Toyoda (non è uno scherzo, si chiama proprio così).
La mobilità privata, oltre che una necessità, era diventata anche un business da status symbol che nel settore automotive è stato cavalcato, soprattutto grazie ai motori, oltre che al design, da molti marchi che hanno avuto ragion d’essere proprio in virtù di ciò.
La prima domanda che ci si pone, dando per assodato che si andrà verso l’uniformità globale, è “cosa ne sarà delle migliaia di aziende di componentistica meccanica?” di cui l’Italia, tra l’altro, è leader.
O ancora, rivolgendo il pensiero alle auto iconiche o da collezione, “che valore avranno in un ipotetico mondo in cui il petrolio sarà messo al bando e non vi sarà più produzione di benzina?”
Si pensi che una Lamborghini Miura, prodotta in soli 150 esemplari, ha un valore che raggiunge i 3 milioni di euro, una Mercedes 300 SL Gullwings 8 milioni; se poi passiamo alle aste i prezzi sono da capogiro, Ferrari GTO 1962 48 milioni, Mercedes W 196 R Grand Prix addirittura venduta per 135 milioni e via di questo passo.
Non esiste risposta a questi interrogativi, è un mondo destinato a sparire se non si adottano le necessarie contromisure; il ché non significa continuare ad inquinare bensì lasciar progredire la meccanica al pari di qualsiasi altra scienza utilizzata per creare prodotti d’eccellenza tutelando l’ambiente.
Ciò che sta accadendo è semplicemente un piegarsi alle imposizioni della Cina cancellando decenni di storia ed un intero mondo produttivo che non era destinato certo a sparire nel breve ma soltanto quando se ne fossero presentate le condizioni, ovvero la fine del petrolio, e neanche, perché sono allo studio i carburanti sintetici che non comportano la totale eliminazione dei motori a scoppio ma soltanto la modifica degli stessi che nella sostanza restano tali.
Se è stato commesso un errore, ovvero quello di essersi venduti alla Cina, soprattutto da parte Europea, ciò non significa che non si possa innestare la retromarcia e tornare sulla strada del libero progresso della meccanica e non accettare passivamente la tecnologia imposta dalla Cina frutto di gravi errori geopolitici dei suoi antagonisti.
Un’auto non è uno smartphone, è un’auto.
Antonino Papa, 28 gennaio 2023