Il pericolo dell'”attacco ai sogni”

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Il Dream Hacking è, letteralmente, “l’attacco ai sogni”. Da parte di chi? Dei brand che vogliono trasmettere la pubblicità alla nostra mente. Sembra un’idea da film distopico, ma non lo è. L’hacking mirato dei sogni da parte dei brand, per accedere alla nostra mente e pilotare i nostri desideri di consumo, è invece qualcosa di possibile: il marketing ci sta pensando e alcuni brand hanno già iniziato a sperimentarlo. 

Manipolazione intenzionale dei sogni

Sembra che anche l’ultimo baluardo della privacy, il sonno, potrebbe non reggere ancora per molto all’attacco del marketing. Parliamo proprio di manipolazione intenzionale dei sogni a scopo commerciale, cioè della reale possibilità di innestare nella nostra mente, mentre stiamo dormendo, il buon ricordo di un marchio o il desiderio di un certo prodotto. Ma perché proprio attraverso i sogni? Perché “i sogni sono meccanismi reali che si sono evoluti biologicamente per aiutarci a prendere decisioni critiche su come condurre le nostre vite in futuro”, dichiara Robert Stickgold, professore di psichiatria alla Harvard Medical School ed esperto in studi sui sogni.

Nel 2020, Adam Haar Horowitz, uno studente del Fluid Interfaces Team al MIT Media Lab, ha utilizzato i l primo dispositivo elettronico sperimentale per l’incubazione dei sogni, denominato Dormio, per inviare idee di base ai nostri sogni. La tecnica si chiama Targeted Dream Incubation (TDI) e si applica a uno specifico periodo del sonno chiamato ipnagogia o NREMI (in cui l’attività delle onde cerebrali presenta caratteristiche simili alla fase del sonno REM e vi è lo stato di transizione della coscienza tra veglia e sonno), per inviare specifici stimoli uditivi con l’obiettivo di alterare i sogni. La fase ipnagogica è la particolare condizione che mira la TDI, perché in quel momento il cervello del dormiente è ancora in grado di rilevare ed elaborare suoni. Così, presentando ripetutamente specifiche informazioni uditive, i ricercatori sono riusciti a dimostrare che questi stimoli possono essere incorporati direttamente nel contenuto di un sogno. 

La ricerca sui sogni e il marketing onirico

La possibilità di fare uno studio dei sogni personalizzabile e misurabile offerta dal dispositivo Dormio sta aprendo a grandi sviluppi della ricerca anche nella direzione della cura sul fronte medico. Questo genere di ricerche, però, fa gola anche al mondo del marketing, non solo a quello della medicina, sempre pronto a cogliere ogni tipo di possibilità in un contesto di mercato iper competitivo. Lo studio su Dormio è stato presentato nel gennaio 2020 ed è stato pubblicato sulla rivista scientifica “Consciousness and Cognition” nel successivo mese di agosto; già nel report

“Future of Marketing 2021” (curato dall’American Marketing Association di New York) il 77 per cento dei manager intervistati riteneva possibile la realizzazione del dream hacking nelle loro strategie di marketing entro i successivi tre anni. 

Fino a oggi, gli esempi di manipolazione dei sogni da parte dei brand si contano sulle dita di una mano, tuttavia il primo brand a usare davvero l’incubazione mirata dei sogni è stato Microsoft. Per lanciare la consolle per videogiochi Xbox Series X, il colosso ha infatti scelto di realizzare una serie di video con l’aiuto della tecnologia di registrazione dei sogni Hypnodyne e della neonata TDI. La campagna che ha però decisamente alzato l’asticella sul dream hacking a scopo pubblicitario è stata quella proposta nel 2021 dal gigante della birra statunitense Coors, che ha deciso di coinvolgere direttamente i consumatori in quello che il brand stesso ha definito «il più grande studio sui sogni della storia». In pratica è stato chiesto a dei volontari di guardare un video di 91 secondi prima di andare a letto e di ascoltare una colonna sonora durante la notte. La mira di Coors? Radicare nell’inconscio dei consumatori, attraverso sogni piacevoli, pensieri positivi sulla birre del brand. Questo è quello che a tutt’oggi possiamo considerare il primo tentativo di una vera TDI su larga scala. Ma da più fonti sembra che numerosi studi di marketing stiano esplorando nuovi modi per alterare e motivare il nostro comportamento d’acquisto durante il sonno attraverso il dream hacking.

Etica dell’hacking dei sogni

Dovremmo preoccuparci di questo nuovo trend? C’è chi dice di no e minimizza, ma ci sono anche psicologi e neuroscienziati in allarme: «La pubblicità TDI non è un espediente divertente, ma un pendio scivoloso con conseguenze reali», avvertono. «Piantare sogni nella mente delle persone allo scopo di vendere prodotti, per non parlare delle sostanze che danno dipendenza, solleva importanti questioni etiche». Il potenziale uso improprio di queste tecnologie, infatti, è tanto minaccioso quanto ovvio. Il riferimento è ai milioni di assistenti vocali – i cosiddetti smart speaker come Alexa di Amazon – sempre più presenti nelle case e possibili veicoli naturali per indurre «sogni brandizzati» in chiunque ne possieda uno. Tale messaggistica, ovviamente, costituirebbe una palese violazione del consenso e della privacy, e quindi sarebbe rapidamente messa sotto accusa in tribunale se e quando scoperta. Per impedire alle aziende di contemplare questo tipo di strategia, comunque, sarebbe meglio prendere delle misure politiche di protezione in merito. 

Tuttavia, le stesse tecnologie sulla modifica dei sogni potrebbero essere utilizzate anche per scopi più nobili: fornire a un soggetto dormiente precisi stimoli durante il sonno può infatti essere di grande aiuto nella sua vita da sveglio in termini di miglioramento dell’umore e della memoria, o per affrontare forme di disagio come la depressione o la sindrome da stress post-traumatico. In primo luogo, però, gli scienziati e i tecnici dovrebbero aderire a un’etica di base che impedisca la manipolazione dei sogni senza il consenso dei soggetti.

Umberto Macchi, 28 marzo 2023

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