La calma, per ora, è tornata. Quello che in un periodo normale sarebbe risultato impensabile alla vigilia delle Elezioni presidenziali per la Casa Bianca si è materializzato sulle banchine, generando anche un precedente a dir poco pericoloso.
I portuali della costa atlantica degli Stati Uniti sono tornati al lavoro dopo quattro giorni di sciopero e hanno sospeso (sospeso, non cancellato) lo stato di agitazione e il blocco delle attività in circa 40 porti americani, perché hanno ottenuto dalle controparti (i gestori di terminal portuali e le compagnie di navigazione) un aumento di paga del 62%.
Chiedevano, è vero, il 77%, ma la controparte si era detta disponibile a trattare solo sino a un aumento massimo in busta paga di circa il 30%. I 45.000 scaricatori sono tornati in banchina nei circa 40 porti bloccati dallo sciopero, ma di certo la International Longshormen Association ha capito che il momento è quello giusto per “braccare” la controparte. Con i Democratici che non si possono permettere di andare al voto per la Casa Bianca con gli scaffali dei supermercati vuoti e con le fabbriche ferme, per altro in porti che sono l’affaccio al mare di Stati incerti, il sindacato ha fatto capire che non ritiene il tavolo della trattativa chiuso. In ballo c’è anche il blocco o comunque il rinvio nel tempo dei processi di automazione e meccanizzazione delle operazioni portuali, che provocherebbero inevitabilmente un eccesso di manodopera e quindi un futuro sfoltimento nei ranghi dei lavoratori portuali.
Extra costi: chi paga? Il consumatore finale?
L’accordo raggiunto si basa sulla proposta della United States Maritime Alliance (USMX), che rappresenta i proprietari dei porti e le grandi compagnie di navigazione, di aumentare i salari del 62% in sei anni.
Sebbene la nuova offerta sia inferiore all’aumento orario del 77% inizialmente richiesto dall’ILA, è quasi il doppio dell’aumento salariale del 32% offerto dall’USMX all’inizio delle trattative. A quanto pare, si tratta anche del miglior accordo che il sindacato pensava di poter ottenere prima che le posizioni si irrigidissero e lo sciopero cominciasse a pesare sull’economia nazionale.
Altri aspetti dell’accordo devono ancora essere definiti, tra cui i benefit e i fondi pensione. L’ILA continua a chiedere limiti all’espansione dell’uso di sistemi di movimentazione merci automatizzati che probabilmente sostituiranno il personale umano. Formalmente il contratto di lavoro è stato prorogato sino al 15 gennaio. Poi si vedrà.
Gli interrogativi inevitabilmente non riguarderanno solo i porti americani. Da più parti, inclusa l’Italia, i portuali inevitabilmente (e segnali in questo senso arrivano già dalla Francia e dalla Gran Bretagna) ingoieranno con sempre maggiore fatica il rospo di compagnie di trasporto container che chiudono i bilanci con profitti sopra i 30-40 miliardi, di operatori di terminal che una piccola parte di questa lotteria se la spartiscono e di lavoratori che invece vedono le loro paghe bloccate sui livelli di anni addietro.
Cinque miliardi di perdite per ogni giorno di stop
Negli Stati Uniti, a sciopero ancora in corso, gli esperti avevano stimato che la chiusura dei porti – attraverso i quali transita fra il 45% e il 49% di tutti i carichi marittimi in entrata e in uscita dagli Stati Uniti – sarebbe costata tra i 2,5 e i 5 miliardi di dollari per ogni giorno di stop.
Questa cifra comprende i costi previsti per i produttori, ostacolati dalla riduzione delle forniture di componenti o materie prime, e per i proprietari di negozi con scorte in diminuzione.
Esisteva poi concretamente il rischio di una reazione a catena, che avrebbe coinvolto nelle proteste in prima battuta gli autotrasportatori bloccati ai cancelli dei porti. Affermare oggi che tutto sia superat sarebbe peccare di eccessivo ottimismo: si calcola che le navi ferma in rada in attesa di poter andare in banchina a scaricare i loro container abbiano già raggiunto quota 57. Un semplicissimo calcolo sulla congestione portuale, individua in due mesi, i tempi di ritorno alla normalità.
Ai portuali e al sindacato i complimenti di Biden
E che l’attuale inquilino della Casa Bianca abbia lavorato nell’ombra per risolvere al più presto una situazione ad alto rischio è confermato dalle sue stesse dichiarazioni. “L’accordo provvisorio di oggi su un salario record e sull’estensione del processo di contrattazione collettiva rappresenta un progresso critico verso un contratto forte”, ha dichiarato Biden in un comunicato della Casa Bianca. “Mi congratulo con i lavoratori portuali dell’ILA, che meritano un contratto forte dopo aver sacrificato così tanto per tenere aperti i nostri porti durante la pandemia”.
Se i portuali sventolano la bandiera della vittoria, le grandi compagnie di navigazione potrebbero (ed è quasi certo) non accettare di essere i perdenti. E già si parla di modalità e tempi brevi per scaricheranno l’aumento del costo del lavoro sulle aziende clienti, che a loro volta si ripercuoteranno sui consumatori. E lo spettro inflazione sarà certo cavalcato dai Repubblicani che da oggi hanno un’arma in più per mettere all’angolo l’amministrazione Biden.