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Il Ponte sullo stretto può partire, è psicodramma WWF

Gli ambientalisti pronti a fare causa e ad appellarsi all’Unione europea

Ponte © Serhii Yevdokymov tramite Canva.com

La Commissione tecnica di Valutazione dell’impatto ambientale ha dato parere favorevole alla costruzione del Ponte sullo stretto di Messina, ma al WWF non basta ancora e si prepara a fare ricorso all’Unione Europea.

Riavvolgiamo rapidamente l’ultima parte del nastro di una telenovela che si trascina da decenni. Il consorzio Eurolink, che è stato incaricato di realizzare l’infrastruttura che collegherà la Sicilia alla Calabria nei mesi scorsi ha integrato il progetto. In regia c’è il primo general contractor italiano Webuild, che realizza grandi opere in tutto il mondo ed è quotato in Piazza Affari.

Questo documento ha ora superato l’esame tecnico della temutissima Commissione “Via” del ministero dell’Ambiente. Sia chiaro, per i tecnici del ministro ci sono ancora alcune criticità da sistemare: si dice in particolare che relazione contenga una cinquantina di indicazioni perentorie riferibili a tematiche quali l’ambiente, il funzionamento del maxi-cantiere, le materie prime e l’inquinamento acustico.

Il punto fondamentale è però un altro: risolti gli ulteriori dettagli tecnici indicati dalla Commissione del Mase per l’avvio dei lavori, nulla più dovrebbe ostacolare l’iter di una grande opera che era considerata strategica già nel 2001.

Da qui la soddisfazione dell’amministratore delegato dello Stretto di Messina, Pietro Ciucci, secondo cui l’ok della Commissione Via è un “importante passo avanti per il progetto e la realizzazione dell’Opera”. La Commissione ha svolto “un lavoro straordinario, esaminando nei tempi di legge un progetto complesso come il ponte sullo Stretto”, ha proseguito Ciucci.

L’impegno della società Stretto di Messina si concentrerà sulle prescrizioni del Via valutandole con grande attenzione, anche alla luce di una progettazione esecutiva per fasi che “ne agevolerà l’attuazione”.

Stesso clima tra i banchi di maggioranza con il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, secondo cui il Paese può ora “guardare al futuro” purché – ha proseguito con una punta di sarcasmo – “pesciolini, alghe e uccellini” permettano all’Italia di realizzare una grande opera simile a quelle esistenti nel resto del mondo, dagli Usa alla Corea.

Non si è fatta attendere la dichiarazione di guerra del WWF, da sempre nemica del Ponte sullo Stretto di Messina perchè convinta che sarebbe di ostacolo alle rotte migratorie delle cicogne e alla schiusa delle uova di tartaruga.

La stessa associazione del Panda indica nel comunicato stampa pubblicato sul proprio sito web tre punti su cui poggerà il reclamo comunitario. Nel dettaglio i paladini dell’ambiente se la prendono con:

  • il fatto che la realizzazione del Ponte sullo Stretto sia stata assegnata senza gara di appalto, grazie a una sottostima dei costi;
  • la violazione di alcune direttive e normative green, come appunto quelle sugli habiat e i diritti dei volatili
  • la mancata applicazione della procedura di Valutazione ambientale strategica.

Ma non finisce qui, il WWF sta valutando altresì la possibilità di avviare un contenzioso amministrativo, nonché un esposto penale. A questo sito tutto questo pare solo un gigantesco psicodramma.

Leggi anche: Ponte sullo Stretto di Messina, in estate al via i cantieri.

Ne abbiamo già scritto tante volte. Qui ci limitiamo a ricordare che il “no” pregiudiziale e ideologico è mortifero per il Paese.  Perché rappresenta un freno per le grandi, opere così come rischia di avvenire per il nucleare. Altro punto, quello del ritorno all’atomo, su cui il governo ha deciso di accelerare, usando tutte le nuove tecnologie: dai mini-reattori a quelli galleggianti in mare.

Se adottassimo lo stesso metro della decrescita infelice dei talebani del green, dovremmo allora bloccare anche il Pnrr, che finanzia una miriade di cantieri, gli scavi della Tav o ancora della gronda di Genova e della diga foranea.

E’ ora di cambiare passo. O il Pil andrà a picco, trascinando con se occupazione e consumi fino ad arrivare a contagiare le nostre imprese. Senza contare che in mancanza di una discontinuità con l’ideologia del no che tante volte ha vinto in passato, l’Italia non sarà mai un Paese davvero appetibile per una multinazionale che per investire ha bisogno di stabilità e regole certe sul lungo termine.

Voi che cosa ne pensate?

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