La paura di sbagliare, l’angoscia dell’errore è forse il più comune dei sentimenti umani. Ma anche quello che meno ti aspetteresti associato alla sicumera dei banchieri centrali e dai nodi delle loro cravatte. Invece non è così: dalle minute del direttivo Bce che lo scorso 14 settembre ha alzato il costo del denaro nella zona euro al 4,5% è emerso che chi governa i tassi di interesse, da cui dipendono i nostri mutui i casa e i prestiti alle imprese, è attanagliato da mille dubbi.
L’ossessione tedesca di riportare l’inflazione al 2%, anche a costo di azzoppare la ripresa , si è così risolta in un corpo a corpo al vertice dell’Eurotower con la pattuglia dei falchi e quella delle colombe impegnate a sferrare i rispettivi fendenti di analisi macroeconomica per sostenere l’urgenza di dare un altro giro di vite ai tassi oppure l’opportunità di aspettare che quanto già fatto dispieghi i propri effetti. Hanno vinto i falchi con una maggioranza definita “solida” dalla presidente Christine Lagarde, perchè pare ancora diffusa l’idea che l’inflazione resti “troppo alta, ancora troppo a lungo”. Allo stesso tempo, però, cresce la consapevolezza che è diventato parimenti rischioso per l’economia sia continuare ad agire sulla leva monetaria sia fermarsi. In ogni caso tutti sono concordi che si fa fatica a prevedere davvero che cosa accadrà nei prossimi mesi.
Molto pesa la tattica tra i Paesi tradizionalmente più rigoristi, Germania e i cosiddetti “frugali” in testa, e quelli più indebitati come l’Italia o la Spagna. In sostanza, i rigoristi hanno chiesto e ottenuto di alzare ancora i tassi; le colombe hanno invece evidenziato il rischio di commettere un pasticcio catastrofico come quello di Jean-Claude Trichet del 2011, origine della crisi del debito sovrano.
Giunti a questo punto, ci permettiamo di chiedere noi a madame Lagarde, come si fa a pensare di fare ancora peggio di così? I dieci rialzi ai tassi di interesse decisi dall’estate del 2022 a oggi hanno spedito la Germania in recessione, con inevitabili ripercussioni sull’eurozona che ormai marcia a scartamento ridotto; tanto che Fmi e agenzie di rating non fanno altro che abbassare le stime su quest’anno e sul 2024. Forse sarà utile ricordare ai signori dell’Eurotower che dietro agli asettici numeri del Pil , dei consumi o della produzione che leggno nello loro tabelle, ci sono famiglie che fanno i salti mortali per riempire il carrello della spesa senza mancare la rate del mutuo e imprese che combattono con costi dell’energia fuori controllo (come ha scritto a “Inchiostro e Affari” questo albergatore del Lago di Garda).
Tutto però ha un limite di ragionevolezza. Le prove? Eccole:
- il costo medio dei mutui, calcola Bankitalia, è salito al 4,67% in termini di Taeg (considerando quindi anche le spese accessorie) e quello del credito al consumo al 10,63%. Abbastanza per congelare sia le compravendite del mercato immobiliare, come in effetti sta avvenendo salvo qualche eccezione nelle metropoli o nelle zone turistiche più ricercate, sia la voglia di shopping. Un monito quest’ultimo che dovrebbe far impallidire, soprattutto in vista del Natale.
- secondo Crif Ratings il tasso di default tra le aziende italiane è tornato a ridosso del 3%, un livello che non si vedeva da dieci anni. Insomma, le imprese costrette a chiudere in Italia, soprattutto nell’edilizia dopo la sbornia del Superbonus, sono in forte aumento.