La crisi di Suez riaccende l’allarme inflazione e tassi. Lo spettro recessione

Gli attacchi sferrati dai ribelli Houthi alle navi che attraversano il Mar Rosso mettono a rischio le catene di approvvigionamento globali. Come era accaduto durante il Covid, ecco le differenze

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Gli attacchi sferrati dai ribelli Houthi alle navi che attraversano il Mar Rosso e che fanno rotta verso il Canale di Suez rischiano di mandare in tilt le catene di approvvigionamento su cui si regge l’intera economia mondiale.

Più o meno quello che era accaduto durante il picco della crisi del Covid, quando sugli scaffali mancavano alcol, lievito e farina. Tanto che molti supermercati imponevano acquisti contingentati su alcuni prodotti.

Stati Uniti e Gran Bretagna hanno cercato di ristabilire l’ordine con un raid aereo, ma il quadro è preoccupante dal punto di vista macro-economico. Perché la pandemia è stata la miccia della bomba dell’inflazione poi deflagrata a livello globale quando la Russia di Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina.

I riscontri satellitari dimostrano, infatti, che la quasi totalità delle navi diretta verso i porti europei o americani sta allungando la rotta verso l’Africa meridionale, pur di evitare il Canale di Suez e la zona del conflitto.

Una strategia inevitabile da parte delle compagnie di navigazione ma pesante per la logistica. Non solo per i maggiori costi ma per i tempi di consegna delle merci. Con il risultato di mettere sotto stress la produzione industriale e quindi i consumi. Colossi come Ikea e Abercrombie & Fitch hanno, per esempio, da subito denunciato possibili ritardi sulle forniture.

Senza contare che si stanno impennando anche i costi delle polizze necessarie ad assicurare le navi che transitano nell’area, considerata ormai una zona di guerra. In particolare Lloyds’ ha stimato una stangata fino a 760mila dollari per ciascuna tratta di petroliera e di un milione per i giganti portacontainer.

Il rischio concreto, insomma, è che riparta con violenza la spirale dei prezzi al consumo. A quel punto la Bce di Christine Lagarde e la Fed di Jerome Powell tornerebbero sui propri passi. Si rimangerebbero la promessa di tagliare i tassi di interesse già il primo semestre di quest’anno per ristabilire la normalità dopo gli ossessivi rialzi del 2023 che hanno piegato il Pil.

A qual punto, con ogni probabilità, le Borse si avviterebbero davanti allo spettro di una economia globale, già oggi esangue, che finirebbe dritta in recessione.

A lanciare l’allarme sulle catene di approvvigionamento è il colosso del risparmio gestito Schroders, evidenziando il rischio che si verifichi una tempesta perfetta. Perché al problema dei ribelli Houthi si sommano quelli del Canale di Panama, dove una combinazione di siccità prodotta dai cambiamenti climatici e variazioni delle precipitazioni dovute a El Nino ha causato un abbassamento dei livelli delle acque, e il possibile impatto delle tensioni con la Cina per le elezioni a Taiwan sulle rotte di navigazioni globali.

Molto dipenderà naturalmente dalla durata della crisi. Secondo David Rees, esperto dei mercati emergenti per Schroders, ci sono tuttavia tre macro-differenze rispetto all’immediato post Covid, che potrebbero aiutare a disinnescare questa bomba a orologeria.

  • la domanda è e resterà molto più debole, poiché il Pil mondiale quest’anno non crescerà oltre il 2,5%, l’Europa è sostanzialmente in recessione e l’economia degli Stati Uniti sono semi-stagnanti.
  • la paura della pandemia ha provocato un picco di domanda su alcuni beni, mentre ora i modelli di consumo sono molto più equilibrati
  • i lockdown avevano sostanzialmente paralizzato la produzione, quindi ora l’offerta è molto più stabile.

Per approfondire leggi anche: come l’inflazione sta svuotando i conti correnti degli italiani e la stangata sui premi delle polizze Rc auto.

Non per questo si può, però, abbassare la guardia. Al contrario sarà cruciale capire fino a che punto le tensioni Medio Oriente impatteranno sul prezzo del petrolio.

 

 

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