SOS forniture, la crisi di Suez farà ancora più danni del Covid

Mancano le navi container ed aumentano i prezzi. Anche il Made in Italy a rischio, Bankitalia taglia il Pil

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La crisi del Mar Rosso, conseguente agli attacchi dei ribelli Houthi alle navi in transito nel canale di Suez, provocherà uno stallo delle forniture peggiore di quella che si è verificata ai tempi dei lockdown per la pandemia Covid. Quando nei supermercati italiani mancavano prodotti come farina, lievito o alcol e disinfettanti.

A lanciare l’allarme sono stati gli analisti di Sea-Intelligence, società specializzata nella consulenza logistica, parlando all’americana Cnbc. La sentenza degli analisti è inappellabile: il fatto che le navi container siano costrette a escludere Suez dalle proprie rotte e debbano circumnavigare il Capo di Buona Speranza, provoca una enorme perdita di tempo.

La conseguenza è che scarseggiano le navi container disponibili per i nuovi carichi. Non si vedeva un impatto del genere da quando nel marzo del 2021 il gigante mercantile Ever Given si era incagliato proprio nel canale di Suez, bloccandolo per sei giorni.

Si stimano danni per miliardi di euro solo per il nostro Paese. Perché, avverte Bankitalia, dagli equilibri del Mar Rosso e dalla navigabilità del canale di Suez dipendono il 30% delle merci importate nel nostro Paese e il 7% di quanto esportano nel mondo le imprese nel made in Italy.

Già nella seconda parte di dicembre dello scorso anno, cioè quando ha iniziato a inasprirsi la crisi Houthi, il canale di Suez ha visto i volumi in transito precipitare del 40%, avverte l’istituto di via Nazionale nel suo bollettino economico. Fino all’attuale situazione di stallo, dove ormai anche le petroliere evitano il passaggio in quello stretto lembo di mare, con un possibile impatto sulla benzina e sulle bollette di famiglie e imprese.

Non solo, dall’imbocco di Bab el-Mandeb transita  la gran parte delle merci in viaggio e di ritorno dalla Cina. Una bomba a orologeria per il nostro Pil, visto che il Dragone è un importante partner commerciale. Soprattutto ora che la Germania, altro importante canale di sbocco per il made in Italy, si è auto condannata alla recessione con l’ossessione del rigore e vede le sue imprese che falliscono a catena

Bankitalia ha già tagliato le stime sul nostro Pil, accreditato ora per l’anno in corso di una crescita di appena lo 0,6% e dell’1,1% nel 2025 e nel 2026. Non certo una bella notizia per la tenuta del debito pubblico, tanto che Giancarlo Giorgetti sta accelerando sulle privatizzazioni per conservare la fiducia di Borse e  agenzie di rating.

Se lo spread potrebbe restare sotto controllo, è probabile che peggio vada all’inflazione. Perché l’allungamento delle rotte accresce il consumo di carburante, senza contare l’impennata dei premi delle polizze assicurative per le navi cargo.

Tutti problemi che, insieme all’attesa crescita dei noli dei container, non potranno che ripercuotersi sui costi di produzione e quindi essere riversati a valle sul prezzo finale. Rendendo ancora più pesante il carrello della spesa, che gli italiani già oggi cercando di contenere rifugiandosi nei discount o comprando i prodotti no logo.

Per approfondire leggi anche: la crisi di Suez riaccende l’allarme inflazione e tassi Bce. Qui invece perché il made in Italy rischia grosso con la crisi del Mar Rosso.

Il ritorno di fiamma dell’inflazione potrebbe inoltre indurre le banche centrali a rimandare ulteriormente il taglio dei tassi di interesse, oggi fissato dalla Bce di Cristine Lagarde per la prossima estate. Più tardi, quindi, di quanto sperassero i mercati che avevano scommesso sulla primavera. A quel punto la recessione globale diverrebbe sempre più concreta. Con conseguente storno delle Borse.

 

 

 

 

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