Non ci sono dubbi: il settore tech sembra mostrare evidenti segni di crisi, dopo anni di crescita che si pensava inarrestabile. Con la pandemia queste aziende sono state sopravvalutate, soprattutto in borsa dove ora iniziano a deludere le aspettative, e con una recessione in vista è plausibile che gli investitori siano un po’ più cauti con i propri soldi. Allargando la prospettiva, sembra in crisi proprio il modello di business di queste aziende, che in molti casi hanno pagato lo scotto di decisioni strategiche sbagliate. I ricavi, soprattutto quelli pubblicitari, sono in calo un po’ ovunque, anche per i colossi del settore tecnologico, come Meta, Microsoft, Snapchat, Alphabet e Twitter. Ecco perché queste enormi aziende stanno iniziando a licenziare i propri dipendenti, proprio dopo aver allargato notevolmente il loro organico.
Elon Musk e Twitter
Completata l’acquisizione di Twitter, Elon Musk, come prima cosa, ha fatto subito piazza pulita di dipendenti, licenziando per primi i quattro top manager: il ceo Parag Agrawal, il chief financial officer Ned Segal, il responsabile degli affari legali e della policy Vijaya Gadde, e il general counsel Sean Edgett (addirittura scortandoli fuori dall’edificio). Non solo, l’obiettivo è quello di licenziare la metà dei dipendenti del social network, tagliando, quindi, circa 3700 posti di lavoro (la metà della forza lavoro del social). Nei giorni precedenti alla conclusione dell’acquisizione Musk aveva ipotizzato di tagliare addirittura il 75% dei dipendenti, salvo poi smentire questa decisione.
“Sfortunatamente non c’è scelta quando un’azienda perde oltre 4 milioni di dollari al giorno”, così si è giustificato sul social, sottolineando anche che a tutti i licenziati, “sono stati offerti tre mesi di stipendio” come buona uscita, “che è il 50% in più di quello che è richiesto” dalla legge.
Mark Zuckerberg e Meta
“Oggi condivido alcuni dei cambiamenti più difficili che abbiamo fatto nella storia di Meta. Ho deciso di ridurre le dimensioni del nostro team di circa il 13% e di separarci da 11.000 dipendenti di talento”. L’annuncio arriva in una lettera del fondatore ai dipendenti: il suo sfrenato ottimismo sulla crescita ha portato a un eccesso di personale in Meta. Zuckerberg ha dichiarato che il taglio si è reso necessario in seguito a “un aumento significativo degli investimenti” che non ha portato ai risultati sperati: “Non solo l’e-commerce non è più tornato ai livelli della fase acuta della pandemia, ma la recessione macroeconomica, l’aumento della concorrenza e il calo della pubblicità online hanno fatto sì che le nostre entrate fossero molto più basse di quanto mi aspettassi”.
Zuckerberg paga l’accelerata fatta durante la pandemia, con 27mila assunzioni tra il 2020 e il 2021 e 15mila nei primi nove mesi di quest’anno, su un totale di circa 87mila dipendenti. Non solo: il Metaverso, quel nuovo mondo ancora tutto da costruire, gli è costato 3,7 miliardi di dollari e causerà ulteriori perdite nel 2023. “Ho sbagliato, e me ne assumo la responsabilità” scrive, ben conscio che deve convincere gli investitori della bontà dei propri sforzi in direzione del Metaverso e della sostenibilità del suo business basato sulla pubblicità online.
Eppure, anche se in un anno il marchio Meta ha perso il 70% del proprio valore, con questo taglio di 11.000 persone i titoli del gruppo Meta avanzano del 5,37% a Wall Street e Zuckerberg ci ha guadagnato un discreto bottino. Tutto frutto del caso?
Non solo Twitter e Meta
Ma non sono solo queste due big company a essere in difficoltà: nel settore sarebbero oltre 100mila le persone licenziate da inizio anno. Qualche esempio?
Snapchat ha tagliato il 20% del personale, più di un migliaio di posti di lavoro, per tamponare le perdite strutturali. TikTok ha dovuto ridurre i suoi obiettivi di ricavi di almeno 2 miliardi di dollari. Lyft, la app di trasporti privati, ha annunciato un taglio del 13% della forza lavoro, che equivale a 650 dei circa 5mila dipendenti. Robinhood, la società statunitense che gestisce l’omonima app per fare trading senza commissioni, licenzierà circa un quarto dei suoi dipendenti. Stripe, la piattaforma di pagamenti elettronici, licenzierà il 14% dei lavoratori, circa 1100 dipendenti. Il motivo addotto da quasi tutte le società del settore è sempre lo stesso: si sono fatti tutti prendere la mano dalle aspettative di crescita e non sono riusciti a tenere sotto controllo i costi.
Anche Microsoft, Apple e Amazon, sono in affanno. Per queste società, però, pesa tantissimo l’andamento dell’economia reale, lo spettro di una recessione economica, e le difficoltà a reperire alcuni componenti essenziali come i microchip, più che strategie sbagliate. Amazon ha bloccato le nuove assunzioni, e teme che l’incertezza economica e l’inflazione freneranno gli acquisti online. Microsoft nel terzo trimestre dell’anno ha avuto un fatturato appena in crescita: si vendono pochi servizi legati alla Xbox, la domanda di pc è bassa e indebolisce i ricavi legati a Windows. Apple sta avendo parecchie difficoltà, nonostante le vendite di iPhone siano in aumento, poiché la società si aspetta una fornitura ridotta dei nuovi modelli a causa delle restrizioni introdotte in Cina per il coronavirus.
La crisi delle aziende tech
Da cosa dipendono le difficoltà del settore? Il boom di assunzioni avvenuto in seguito alla pandemia, durante la quale il lavoro di queste aziende è cresciuto enormemente, è appunto una delle cause. Durante la pandemia il ruolo della tecnologia era diventato centrale a causa delle restrizioni e il settore ne aveva beneficiato notevolmente. Parte della crescita era stata sostenuta dal fatto che il settore aveva avuto accesso a flussi di denaro molto più alti che in passato. Il Nasdaq, l’indice della borsa americana che più rappresenta l’andamento dei titoli informatici e tecnologici, negli anni 2020 e 2021 era cresciuto complessivamente dell’86%. All’inizio della pandemia il “mondo si è rapidamente spostato online e la crescita dell’e-commerce si è tradotta in un’accelerazione dei ricavi. Molti avevano previsto che si sarebbe trattato di un’accelerazione permanente che sarebbe continuata”, ha detto Zuckerberg. “Fra questi anche io, e così ho deciso di aumentare significativamente gli investimenti. Sfortunatamente non è andata come avevo previsto”.
La fine dell’emergenza ha infatti comportato un rallentamento al quale si sono aggiunte la guerra in Ucraina e l’inflazione, la crisi dei commerci mondiali e la scarsità di materie prime: il rischio concreto di una recessione economica è imminente. Anche per questo le banche centrali, per combattere l’aumento esagerato dei prezzi, stanno alzando i tassi di interesse e chi investe nel settore tecnologico è quindi diventato più attento.
Il repentino aumento dei tassi ha provocato grossi cali sui mercati finanziari: da inizio 2022 il Nasdaq ha perso il 32% del suo valore e i titoli delle cinque grosse società tecnologiche quotate in borsa (Amazon, Alphabet, Meta, Apple e Microsoft) hanno perso oltre 3 mila miliardi di dollari del loro valore. Il fattore determinante è stato il calo degli introiti pubblicitari, tra le fonti di reddito più importanti per le aziende tech: la situazione economica incerta del momento ha portato gli investitori a tagliare gli investimenti in pubblicità.
Neanche a dirlo, l’intero settore dovrà ora rimboccarsi le maniche per gestire una fase molto dura che, come stiamo già osservando, comporterà notevoli cambiamenti strutturali. Non solo, anche i governi e le istituzioni dovranno metter mano a una rivoluzione nel mondo del lavoro perché l’attuale metodologia gestionale non è adeguata a questo momento storico; ci vuole una tipologia di lavoro che sia più flessibile e che, allo stesso tempo, possa stimolare e supportare gli imprenditori. Se le istituzioni non capiranno tutto questo, diventerà normale leggere sui giornali il licenziamento di migliaia di dipendenti.
Umberto Macchi, 18 novembre 2022