Lavoro

L’Italia regge sul lavoro, ma non nelle buste paga

Il report dell’Inps: “Creato un milione di nuovi posti”. Mediobanca: “Eroso il potere d’acquisto delle buste paga”

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Un milione di contratti di lavoro in più. L’Inps fotografa l’occupazione dei primi sei mesi dell’anno e l’impressione è che il lavoro in Italia regga il colpo, malgrado un Pil ormai semi azzoppato dai ripetuti rialzi ai tassi di interesse decisi dalla Bce di Christine Lagarde per cercare di spegnere l’inflazione. Per amor di precisione da gennaio a giugno sono stati sottoscritti 4,3 milioni di contratti mentre quasi 3,3 milioni sono cessati, appunto con un saldo netto di un milione di posti di lavoro in più. In aumento, secondo l’Osservatorio dell’Inps sul precariato, tutti i tipi di inquadramento: quelli a termine ma soprattutto quelli stagionali, complice probabilmente anche il buon momento dell’industria del Turismo; bene quelli in apprendistato e quelli cosiddetti in somministrazione, cioè tramite le agenzie per il lavoro. Insomma una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, aggiungiamo noi, da cui si può trarre conferma delle ricadute positive della fine del vecchio Reddito di Cittadinanza, perlomeno come era stato concepito dal governo Conte.  Così come si va affievolendo, dopo il boom del 2022, il fenomeno delle cosiddette “dimissioni di massa”: nei primi sei mesi del 2023 si contano poco più di un milione di addii, per una contrazione prossima al 4,5%.

 

Se le cose parrebbero andare bene sul fronte occupazionale e del lavoro, il quadro del nostro Paese però si complica quando lo sguardo passa allo stipendio, e quindi alla forza che le famiglie hanno per contrastare l’inflazione, a partire dal cosiddetto carrello della spesa.  A guidarci è il periodico studio di Mediobanca che passa in rassegna i bilanci delle grandi e medie aziende industriali e del terziario del nostro Paese. In questo caso il periodo preso in esame è il 2022, ma logica vuole che il quadro non possa essere migliorato vista l’ulteriore corsa dei prezzi al consumo. Gli esperti di Piazzetta Cuccia rilevano infatti come i ricavi nominali delle imprese siano cresciuti del 30,9% trascinando con sè quelli reali, cioè a netto dell’inflazione, che sono così risultati in salita dello 0,6% . Il tutto a fronte di utili in progresso del 26% e di margini più che al sicuro. Insomma le aziende, soprattutto quelle più forti o di alcuni settori più iconici, sono in salute e accanto alle sinergie per tagliare i costi sono riuscite a scaricare a valle, cioè sullo scontrino e quindi sul consumatore finale, i maggiori costi di produzione e delle materie prime che hanno dovuto sopportare. Si pensi per esempio all’esplosione dei costi delle bollette di luce e gas dello scorso inverno. Opposta invece la situazione delle buste paga che, naturalmente si tratta di una media,  hanno subito una perdita prossima al 22% del loro potere d’acquisto.

 

Vale la pena sottolineare che a lanciare l’allarme non sono i sindacati, il cui mestiere è quello di battersi per i lavoratori, ma gli analisti di Mediobanca, cioè il tempio finanziario del nostro Paese. Insomma forse è il caso di rifletterci sopra. Perchè quelle buste paga asciugate dal caro vita rappresentano altrettanti consumatori. Ma se i consumi si fermano va in stallo anche il Pil, rendendo ancora più difficile per l’Italia gestire  il debito il debito pubblico.