Si fermano i porti Usa: tsunami elettorale sui Dem?

Confermato al primo ottobre lo sciopero che bloccherà 36 scali. E i Repubblicani vogliono una nuova legge del mare

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Usa porti

Potrebbe arrivare dal mare l’onda in grado di squilibrare sondaggi e risultati delle prossime elezioni presidenziali Usa, facendo emergere, da un lato, la pochezza economica della guida democratica sul fronte del rilancio dell’economia; dall’altro, imponendo da un punto di vista differente ma altrettanto efficace, quello del controllo dei traffici marittimi, il “make America great again” che continua ed essere il leit motiv della campagna di Donald Trump.

La prima minaccia è incombente. Dal primo ottobre prossimo almeno 36 porti di vitale importanza per l’economia americana, tutti i principali che si affacciano sulla costa atlantica e sul Golfo del Messico, si fermeranno per uno sciopero a tempo indeterminato proclamato dal sindacato dei portuali.

L’International Longshoremen’s Association ha dichiarato che i suoi 25.000 iscritti lasceranno il lavoro se il sindacato non raggiungerà un nuovo accordo con la US Maritime Alliance, che rappresenta i vettori e gli operatori dei terminal marittimi, prima della scadenza del contratto il 30 settembre.

Verso un escalation nei prezzi delle merci

Questi porti movimentano fra il 40 e il 50% del volume di merci all’import e all’export del Paese, e un blocco prolungato potrebbe avere non solo sul flusso di approvvigionamenti fra l’altro in vista del peak natalizio degli acquisti, ma anche direttamente sui prezzi alimentando una nuova fiammata di inflazione. C’è già chi parla di “impatto devastante” sull’economia statunitense, e sta crescendo la convinzione che l’amministrazione Biden (alle richieste del sindacato che in teoria dovrebbe esprimere voti democratici ha risposto con un secco “no”) avrebbe potuto fare molto di più per evitare questo blocco anche considerando il fatto che uno sciopero di questa magnitudo non si verificava da oltre 20 anni: nel 2002 il blocco dei porti del Pacifico era costato perdite di un miliardo al giorno e si erano resi necessari sei mesi per un ritorno alla normalità.

Ma i repubblicani proprio sul mare hanno lanciato una seconda sfida: quella della riforma delle competenze nel settore marittimo.  Con il Progetto 2025, messo a punto dalla Heritage Foundation, che definisce la politica americana per i prossimi anni, rivoluzionando lo stato profondo americano, i Repubblicani entrano a gamba testa anche sul settore marittimo.

Impatta anche sul mare il Progetto 2025

Il piano suggerisce di spostare la MARAD dal Dipartimento dei Trasporti (DOT) al Dipartimento della Sicurezza Interna (DHS) o al Dipartimento della Difesa, sostenendo che la posizione della MARAD all’interno del DOT è unica, in quanto non regolamenta l’industria che rappresenta, in quanto ciò rientra nelle competenze della Guardia Costiera e della Commissione marittima federale (FMC). Il MARAD ha inoltre una duplice responsabilità nel commercio in tempo di pace e nel trasporto marittimo in tempo di guerra. Questi fattori, tra cui la gestione della National Defense Reserve Fleet e della Ready Reserve Force di 45 navi, distinguono il MARAD dalle altre amministrazioni modali all’interno del DOT. Di conseguenza, le sue missioni e priorità di finanziamento sono state spesso sottovalutate nella pianificazione e nel bilancio del DOT.

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Secondo il Progetto 2025, “il MARAD sarebbe meglio servito se fosse trasferito dal DOT al Dipartimento di Sicurezza Nazionale (DHS)”, allineando il MARAD alla Guardia Costiera degli Stati Uniti, che fa anch’essa parte del DHS, e migliorando potenzialmente l’efficienza operativa nella supervisione e nella regolamentazione del settore marittimo.

Per quanto riguarda il Jones Act, ovvero la principale legge del settore marittimo, il Progetto 2025 chiede di “prenderne in seria considerazione l’abrogazione o la riforma sostanziale”, citando i costi economici che “superano di gran lunga il suo effetto sulla fornitura di navi nazionali”. Il piano sottolinea che “non è possibile spedire gas naturale liquefatto (GNL) dall’Alaska ai 48 Stati inferiori perché non ci sono navi battenti bandiera statunitense che trasportano GNL”, evidenziando le potenziali inefficienze del sistema attuale.

La proposta sostiene anche che il trasferimento del MARAD al DHS potrebbe snellire gli sforzi di risposta in caso di calamità naturali, dato che anche la FEMA fa capo al DHS. Inoltre, potrebbe migliorare il processo di deroga al Jones Act, che inizialmente richiede al MARAD di condurre un’indagine di mercato sul tonnellaggio disponibile.

In conclusione, l’attuazione del Progetto 2025 potrebbe avere implicazioni di vasta portata per l’industria marittima statunitense, con potenziali ripercussioni su quasi 650.000 posti di lavoro americani e 150 miliardi di dollari di contributi economici annuali. Di certo a novembre, nel seggi elettorali, tornerà in bilico anche la politica marittima degli Usa.

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