Se prima eravamo in cinque a ballare l’Hully Gully, adesso siamo in…Nessun ritornello meglio di quello del tormentone estivo di metà anni sessanta, sembra attagliarsi alla perfezione alla ricerca in corso dei nuovi presidenti dei porti. Mentre sono scaduti i termini relativi a nove scali marittimi del Paese (compresi quelli di Genova e Trieste da mesi abbandonati a gestioni commissariali dell’ordinaria amministrazione) per la presentazione delle autocandidature da parte di chi crede (inclusi gli immancabili politici di seconda fila a caccia di poltrone) di vantare le caratteristiche e l’esperienza professionale per guidare un grande scalo, il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture è già proiettato nel futuro e ha pubblicato un secondo bando.
Non perché nessuna delle prime nomine sia effettivamente andata…in porto, ma perché altre cinque presidenze sono in scadenza e anche per queste vanno presentate le autocandidature con scadenza dei termini al 31 gennaio 2025. I porti sono quelli di Livorno, Napoli-Salerno, Gioia Tauro, Sardegna e Venezia.
Ritenendo improbabile che i ministri competenti decidano di procedere alle nomine dei primi nove presidenti durante le feste natalizie e forse anche nell’immediata ripresa dei lavori parlamentari, l’ipotesi che pare stia prendendo corpo è quella di una nomina collettiva immediatamente dopo il 31 gennaio. Come dire, se prima eravamo in nove a ballare “hully gully”, adesso siamo in 14 a ballare l’”Hully gully”.
A non cambiare è la musica. E il refrain che suona è quello di un Paese che sarà stato anche di poeti e navigatori, ma che con il mare, e nel caso specifico, con i porti continua ad azzeccarci davvero poco. A candidature inattese di politici (questa volta di destra, sino a ieri e per alcuni decenni di sinistra) pronti allo scatto decisivo verso la poltrona, si contrappongono funzionari di Associazioni imprenditoriali del settore con tanta teoria e ben poca esperienza di lavoro alle spalle, e poi ammiragli di scuola Capitanerie di porto. Il tutto a fronte di una incapacità, a oggi drammaticamente manifesta, di pescare all’interno delle Autorità di sistema portuale chi già la governance di un porto conosce e che quindi potrebbe prendere le redini in mano senza traumi da carente know how o peggio, da grande presunzione di conoscenza.
Intanto le settimane scorrono e la nuova portualità, con una riforma contrastata fra due ministeri all’orizzonte, fatica a prendere corpo come non mai. Eppure i motivi per fare in fretta ci sarebbero stati già nel 2024: basti pensare alla devastante inchiesta che ha decapitato il porto di Genova), o alla gestione delle grandi opere in gran parte portuali previste nel PNRR, o ancora ai troppi commissariamenti in atto. A questo proposito ieri Manuel Grimaldi ha rilasciato al Mattino di Napoli una lunga intervista, da un lato, appoggiando l’idea di una Spa con partecipazione di privati anche se saldamente in mano allo Stato (si era parlato di una Enav dei porti), dall’altro, ribadendo la grande opportunità di rilancio della portualità mediterranea.
Parlare di Blue economy come forza trainante del Paese è diventato di gran moda, ma chi debba trainarla non è dato saperlo.
Per intanto sulle banchine i “casus belli” si accendono a ripetizione. Dopo lo scontro in atto a Livorno fra il gruppo Neri e il gruppo Grimaldi, è ancora quest’ultimo a rilanciare su Genova chiedendo a gran voce la revoca della concessione al gruppo Spinelli (coinvolto nella già citata inchiesta) e l’accesso a spazi indispensabili per le sue navi ro-ro e porta-auto. Sulla concessione era già intervenuta a gamba tesa PSA, ovvero la società che gestisce il terminal container di Prà e che ha chiesto l’immediata applicazione della sentenza del Consiglio di Stato; ovvero, niente container nel terminal Spinelli e 50 milioni di danni se a prevalere non saranno le merci multipurpose.
Container si, container no. Fra Genova e Livorno un gioco di specchi. E intanto tutti alla finestra in attesa della decisione dei nuovi presidenti…che verranno.