Mare e porti

I porti dei commissari

Non solo Genova, ma anche altri tre porti incluso Trieste affidano il timone a commissari

porto di Genova, i commissari e Matteo Salvini © claudiodivizia tramite Canva.com

Tre, anzi quattro, fra cui i due principali porti del Paese, affidati alla gestione dei commissari (per Genova addirittura anche un commissario bis); quindi sei presidenti in scadenza entro fine febbraio 2025 (tre dei quali a fine anno); altri quattro entro luglio 2025 e solo due con sopravvivenza sino all’inizio del 2026.

Ondata di commissari

Il network delle Autorità di sistema portuale (questo il nome impronunciabile specie per i clienti stranieri, scelto dal ministro Delrio per contrassegnare gli Enti di gestione dei porti italiani), si sgretola. E, paradosso dei paradossi: ciò accade nel momento in cui le tensioni geopolitiche non lontane dal Mediterraneo, hanno, forse per la prima volta dal dopo-guerra a oggi, acceso i riflettori sull’importanza strategica dei traffici marittimi e quindi sui porti come strumento essenziale per determinare l’efficienza e la competitività del sistema Italia; riflettori che si sono accesi anche sui sogni e i progetti-Paese (dal Piano Mattei al ruolo dell’Italia riconosciuta al G7 anche dagli alleati di oltre Oceano come la vera sentinella sul Mediterraneo).

A Genova un ammiraglio e un giurista

Mentre la riforma delle norme che regolano la governance dei porti scivola sul piano inclinato del non fare verso l’anno prossimo (dopo che la riforma era stata annunciata per fine 2023 e quindi posposta al 2024), i presidenti, quelli che dovrebbero reggere con mano salda il timone dei porti, escono di scena e neppure troppo in punta di piedi, lasciando il posto a un’ondata di commissari. A Genova, a pochi giorni dalla nomina del commissario, nella persona del contrammiraglio Massimo Seno, responsabile affari giuridici del Corpo delle Capitanerie di porto, ha fatto seguito quella di Alberto Maria Benedetti, nella veste di commissario aggiunto. Da un lato, un militare specializzato in problemi giuridici, dall’altro, un giurista già candidato in quota sinistra alla presidenza del CSM, della scuola di Guido Alpa.

In mezzo, il porto di Genova, che – secondo quanto ribadito anche recentemente dal ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini – è chiamato ad accelerare sulle grandi opere in primis quella diga del porto che dovrà rispettare la tempistica prevista ottemperando alle aspettative del “make the port great again”. Tutto possibile, certo; anche se in molti si interrogano sulla compatibilità fra l’identikit commissariale comprensivo di inattesi equilibrismi politici (in una regione in cui il porto è stato sempre dipinto di rosso) e la necessità di riprodurre in vitro portuale il miracolo Bucci, ovvero la capacità del Sindaco di Genova di interpretare il ruolo del commissario (come accaduto nel caso della ricostruzione del ponte Morandi) sulla linea di confine fra procedure e fatti privilegiando nettamente i secondi. E proprio per questi motivi molti altri si chiedono come mai, a fronte delle dimissioni del precedente presidente del porto, Paolo Emilio Signorini, nel settembre 2023 (otto mesi prima del deflagrare dell’inchiesta che pure covava da quattro anni), in un momento allora di grande spolvero della Regione, del Comune e del porto stesso, il ministero avesse optato per una scelta commissariale anziché nominare un presidente con pieni poteri.

Commissari, il caso Trieste

E mentre la capitale del mare tenta di non sprofondare nel pantano che per decenni ha caratterizzato, salvo rare e faticose eccezioni, la gestione del suo porto, anche altri scali marittimi del Paese sono già precipitati nelle gestioni commissariali, non per emergenze, ma semplicemente per incapacità di trovare successori ai precedenti presidenti. E guarda caso anche l’altro porto indicato come strategico per il sistema Italia, quello di Trieste, condivide (non per il quadro giudiziario) il destino di Genova. A Trieste, Vittorio Torbianelli, già segretario generale, dal marzo scorso occupa come commissario la poltrona di Zeno D’Agostini, dimissionario pochi mesi prima della fine del suo mandato.

Il Ponte sullo Stretto

Il tris è completato dall’Autorità di sistema portuale dello Stretto di Messina, dove un altro ammiraglio, Antonio Ranieri, è al timone da dicembre 2023, in sostituzione del presidente Mario Mega. E sempre al Sud si pone ora la necessità di un altro commissario, dopo le dimissioni per motivi di salute di Ugo Patroni Griffi, dalla presidenza dell’Autorità portale dell’Adriatico meridionale (Bari e Brindisi).

Le gestioni commissariali hanno abitualmente due connotati, l’emergenza e l’eccezionalità. Considerando che altre sei Autorità di sistema portuale (in ordine di futura sparizione Civitavecchia, La Spezia, Ravenna, Taranto, Napoli e Livorno) vedranno scadere il mandato dei loro presidenti entro febbraio 2025, casi come quello di Genova (porto che direttamente o indirettamente si trova a gestire la costruzione di opere infrastrutturali fra cui la grande diga) per un valore di oltre tre miliardi), non possono non generare preoccupazioni. La legge di riforma portuale vigente (la gloriosa 84/94 che compie quest’anni il suo trentennale) prevede che i presidenti siano scelti “fra cittadini dei Paesi membri dell’Unione europea aventi comprovata esperienza e qualificazione professionale nei settori dell’economia dei trasporti e portuale”. E i commissari?

Bruno Dardani, 21 luglio 2024

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