Prima regola, il silenzio. No. Non si parla di un convento, bensì del comparto strategico forse più importante per l’economia italiana: i porti, che in linea teorica dovrebbero essere affidati a mani sicure in grado di guidarli verso traguardi prestigiosi e che invece, fra un commissariamento, un’inchiesta e dimissioni sono piombati in una sorta di oblio collettivo.
Mentre il governo ha prorogato al 30 settembre la chiusura del bando e quindi il termine per la raccolta di autocandidature a ricoprire la carica di presidenza delle Autorità di sistema portuale, nessun risiko, né ufficiale né ufficioso, è partito sui nomi dei possibili candidati che in linea teorica dovrebbero essere selezionati fra ottobre e novembre.
Alcuni sussurri, ma nessuna grida anche per i due porti più importanti, quelli di Genova e Trieste, il primo affidato a un inconsueto duplice commissariamento dopo l’inchiesta sfociata nell’arresto del Presidente Paolo Emilio Signorini; il secondo rimasto orfano di presidente per la decisione di Zeno D’Agostino di concludere in anticipo il suo mandato.
Per Genova, dove la nomina si incrocia pericolosamente con le elezioni regionali del dopo-Toti, circolano con grande prudenza due soli nomi, quello dell’attuale presidente dell’Autorità di La Spezia, Mario Sommariva, già sindacalista della Cgil Trasporti e segretario generale del porto di Trieste; quindi quello di Pino Musolino, attuale presidente dell’Autorità dei porti di Roma.
I pessimisti interpretano questo perdurante e inconsueto silenzio su possibili candidati Alla Presidenza delle Autorità portuali o come la prova di una carenza di professionalità nel settore e quindi della difficoltà a individuare candidati vincenti per cariche strategiche che richiedono conoscenze specifiche; o, in una ipotesi ancora peggiore, di una ricerca in atto di politici di seconda e terza fascia che hanno mancato obiettivi elettorali nazionali o europei e che potrebbero essere ripescati sulle banchine portuali.
Il tema della professionalità potrebbe in effetti risultare centrale in un settore che ha visto inaridirsi proprio il know how degli amministratori della portualità nazionale e che richiede oggi piu’ che mai Presidenti di livello. Rare le eccezioni di professionalità comprovata sul campo come quelle dei segretari generali di Livorno, Matteo Paroli, del segretario generale di Palermo, Luca Lupi (già segretario generale dell’Associazione dei porti del Mediterraneo) e di Federica Montaresi, segretario generale di La Spezia. Tutti nomi che potrebbero e dovrebbero entrare nella short list di candidati non necessariamente vincolati alla presidenza del porto in cui operano attualmente.
Al di là delle ipotesi di un rimescolamento delle carte già oggi sul tavolo con spostamenti di presidenti da un porto all’altro (ipotesi data per poco probabile in considerazione della comune matrice e nomina politica di centro sinistra o palesemente di area PD), sono iniziati a circolare negli ultimi giorni i nomi di Davide Bordoni, quota Lega e nominato recentemente Ceo di Ram-Autostrade mediterranee; inoltre Francesco Maresca, assessore della Giunta comunale genovese. Si parla anche del direttore di Assiterminal, Alessandro Ferrari.
La partita porti riguarda tre, anzi quattro, fra cui i due principali porti del Paese, affidati alla gestione dei commissari; quindi sei presidenti in scadenza entro fine febbraio 2025 (tre dei quali a fine anno); altri quattro entro luglio 2025 e solo due con sopravvivenza sino all’inizio del 2026.
E nel silenzio stanno affondando nel grande nulla anche alcune importanti e determinanti attività strategiche che le Autorità di sistema portuale dovrebbe svolgere. E’ il caso della gestione delle concessioni demaniali, per terminal, aree con varie destinazioni e persino porti turistici; è il caso dell’attività di marketing che dovrebbe essere prioritaria per i porti specie sui mercati internazionali e che invece è in gran parte piombata in una gestione dell’ordinaria amministrazione.
Il tutto in un quadro legislativo di stop alla legge di riforma dei porti e di rinvio sine die del regolamento sulle concessioni. Alla faccia dell’importanza strategica del settore e, perché no, della necessità di gestire crisi e opportunità derivanti dalla crisi geopolitica in atto in Medio Oriente e per estensione nel Mediterraneo.