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Panama e Groenlandia: le sfide di Trump alle vie della Seta e dell’Artico

Cosa si cela dietro gli auguri di Natale del neo-presidente degli Stati Uniti? Un confronto a tutto campo contro l’espansione marittima della Cina

I vecchi saggi affermavano che esiste una grande differenza fra un pazzo e uno scemo. E forse anche i grandi esperti di geopolitica o i politologi tout court una riflessione sugli auguri di Buon Natale formulati  da Donald Trump, ultimo Natale da non presidente degli Stati Uniti d’America, forse dovrebbero meditare e partorire valutazioni e riflessioni più approfondite.

Lasciando da parte il Canada che pure avrebbe una sua logica economica, ancorchè una storia difficilmente conciliabile, il Canale di Panama e la Groenlandia meritano un approfondimento diverso ad esempio dal punto di vista commerciale e di quell’interscambio via mare che è diventato (o forse è sempre stato) la chiave di lettura per gli equilibri del pianeta.

Partiamo da Panama e dalla frase di Trump: “Buon Natale a tutti, anche ai meravigliosi soldati della Cina che in maniera amorevole, ma illegale, gestiscono il Canale di Panama (dove noi abbiamo perso 38mila uomini nella costruzione 110 anni fa), assicurandosi sempre che gli Stati Uniti investano miliardi di dollari in denaro per le ‘riparazioni’, senza però avere voce in capitolo su nulla”.

Il mega porto in Peru’ è la testa di ponte

Donald Trump ha suggerito domenica che la sua nuova amministrazione potrebbe cercare di riprendere il controllo del Canale di Panama che gli Stati Uniti hanno “stupidamente” ceduto al suo alleato centroamericano. Nel mirino le tariffe, ma dietro a questo bersaglio si cela un bersaglio ben più importante. La Via della Seta, che i cinesi hanno tentato di aprire da est verso ovest, passando attraverso Suez, sfruttando la svendita del Pireo e la voglia collaborazionista di alcuni porti italiani, è chiusa dalla crisi del Mar Rosso, ed è riproposta nella direzione opposta. E cinesi fanno sul serio, visto che  recentemente In Perù per il vertice dei Paesi Apec, il presidente cinese assieme alla presidente Dina Boluarte, ha tagliato il nastro del mega-scalo da 1,3 miliardi di dollari di investimento nella prima fase, che diventeranno 3,5 miliardi $ a opera finita; si tratta di un mega hub logistico situato nella Zona economica speciale Chancay-Ancón-Callao, 80 chilometri a nord dalla capitale. Un’opera che apre una nuova rotta diretta con la Cina, capace di ridurre i tempi delle spedizioni da 38-40 a 27 giorni con una potenza di fuoco tra i 18mila e i 21mila TEU e 960 connessioni reefer (i container di prodotti congelati).

Con il controllo del nuovo porto i cinesi indirettamente mettono le mani sul Canale come via di penetrazione anche verso la costa atlantica del Sud America.

E a Trump questa prospettiva non va a genio: gli Stati Uniti hanno costruito il canale all’inizio del 1900, cercando un modo per facilitare il transito di navi commerciali e militari tra le loro coste. Washington ha ceduto il controllo della via d’acqua a Panama il 31 dicembre 1999, in base a un trattato firmato nel 1977 dal presidente Jimmy Carter. Ma il canale dipende dai bacini idrici per far funzionare le sue chiuse e ha risentito pesantemente della siccità centroamericana del 2023, che lo ha costretto a ridurre sostanzialmente il numero di slot giornalieri per l’attraversamento delle navi. Con un numero inferiore di navi che utilizzano il canale ogni giorno, gli amministratori hanno anche aumentato le tariffe.

Uno sbarramento anche per la flotta russa

E anche per la Groenlandia il tema sono i traffici marittimi: dopo il Canada e il canale di Panama, il prossimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha aperto un nuovo clamoroso fronte diplomatico internazionale: la proprietà della Groenlandia, la “terra dei ghiacci” estrema propaggine del continente nordamericano verso l’Europa formalmente controllata dalla Danimarca.

La più grande isola del mondo per oltre l’80’% coperta dai ghiacci è una delle chiavi di accesso alla rotta artica che cinesi e russi ambiscono a sfruttare in modo intensivo.

Nell’agosto 2019, Trump ha espresso l’interesse per l’acquisto della Groenlandia da parte degli Stati Uniti d’America. Gli Usa ci avevano già provato nel 1867, mentre nel 1946 ritentarono l’acquisto offrendo 100 milioni di dollari. Il 26 novembre 2008 è passato in Danimarca il referendum sull’autodeterminazione, con una percentuale del 75,5% di favorevoli.

Con questa riforma si sono rivisti statuti dell’autonomia, secondo i quali, a partire dal 21 giugno 2009, i groenlandesi sono riconosciuti come popolo dalla Danimarca e possono gestire autonomamente le proprie risorse naturali come petrolio, gas, diamanti e piombo.