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“Porti”…ai privati, ma rischi di non saperlo fare

Federagenti critica il progetto di privatizzazione della portualità italiana in assenza delle riforme necessarie

Chi li prende per spagnoli, chi li prende per greci…il ritornello delle sciantose napoletane oggi sembra adattarsi ai porti italiani, per i quali, nel sussurrare i tempi di una possibile privatizzazione, si recuperano formule estere più o meno miracolistiche che hanno determinato il successo, e talora l’insuccesso, derivante dall’ingresso dei privati nel capitale dei porti. Per l’appunto la formula ritenuta vincente è individuata in quella spagnola dei Puertos de Estado, Ma non si esclude quella greca dimenticando comunque che rispetto a quei due Paesi, i porti in Italia svolgono ben altra funzione strategica. A livello ufficiale bocche cucite sia al ministero dell’Economia sia a quello dei Trasporti affidato al vice ministro Edoardo Rixi.

E intanto fra i sussurri e le grida che stanno facendo seguito alla ipotesi, mai ufficializzata, di una privatizzazione dei porti italiani, con inevitabile attenzione da parte di fondi di investimento internazionali, il progetto, o presunto tale del governo italiano, Incomincia a incassare i primi siluri.

Oggi quello della Federazione nazionale agenti marittimi, Federagenti, Il cui presidente Alessandro Santi ha nei fatti lanciato un vero e proprio appello alla serietà.

“Mi rifiuto di pensare – ha affermato – che si possa anche solo ipotizzare una non ben definita “privatizzazione” dei porti con il solo scopo di fare cassa” aggiungendo: “I porti italiani (con tutti i loro difetti) e l’Italia meritano qualcosa di più in termini di politica e di strategia di sviluppo e deve essere affermata con chiarezza quale sia la strategia nonché gli obiettivi alla base di questo progetto, se di questo si tratta, di privatizzazione”.

Privati nella holding o nelle singole ADSP?

Secondo il presidente degli agenti marittimi, categoria notoriamente sulla linea del fronte che separa la nave dai porti,  prima di pensare a una privatizzazione, è indispensabile procedere per gradi e realizzare quella riforma dei porti della quale, dopo impegni iniziali, non si parla più da mesi. “Oggi – afferma il presidente di Federagenti – si torna parlare, e su questo ci trova concordi, di un soggetto centrale, in grado di progettare gli interventi nei singoli porti nell’ambito di una pianificazione e di una strategia nazionale. Si torna a parlare, o forse è giusto dire si tornerebbe a parlare, di una holding portuale nella quale in teoria dovrebbero entrare i soggetti privati, oppure più credibilmente di una trasformazione in SPA di alcune AdSP, previa acquisizione di azioni del sistema portuale italiano da parte di soggetti privati”.

“Ma gli interrogativi senza risposte prevalgono, come a titolo di esempio quello relativo al rapporto fra un Ente centrale dei porti, una holding e i numerosi soggetti privati che già gestiscono in concessione importanti terminal nei singoli porti, ingenerando potenziali conflitti di interesse; inoltre l’eterogeneità dei sistemi portuali genererebbe problemi di potenziale emarginazione di un grande numero di porti (e delle Autorità che governano) che oggi svolgono comunque funzioni anche territoriali importanti.

L’Italia è un Paese dove il tanto agognato sistema di regolazione (basti pensare che la mancanza di un regolamento delle concessioni – prosegue la nota di Federagenti – è diventato elemento di debolezza nel dibattito sul PNRR) fatica a prendere corpo con il rischio di compiere un salto in avanti senza aver preventivamente definito e costruito le basi per attuarlo. A nostro avviso risulta per altro difficilmente applicabile la comparazione con il modello aeroportuale, comunque basato su concessioni, e con effetti territoriali ed economici molto meno complessi e profondi di quanto non accada con i porti”.

De profundis quindi per il progetto di privatizzazione? Chissà. Di certo qualche miliardo derivante dall’ingresso, non si sa dove e non si sa come, di capitali privati farebbe comodo. Ma un pasticcio gestionale in una infrastruttura strategica farebbe peggio.