Possibile default USA? Numeri (e politica) più che sospetti

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Il termine default ha preso piede nel linguaggio comune, prevalentemente in ambito finanziario, da quando gli effetti di eventi negativi nel mondo della finanza globale ed interconnessa hanno avuto ripercussioni a catena che si sono propagate a macchia d’olio da un capo all’altro del pianeta.

 

Gli accadimenti del 2008 hanno ulteriormente radicalizzato questo termine a tal punto che viene utilizzato in tutti i paesi del mondo in sostituzione della parola corrispondente nelle relative lingue, globalizzazione linguistica…

 

Associare il concetto di “fallimento” ad un Paese come gli Stati Uniti d’America potrebbe sembrare fantafinanza ma non lo è; esistono, infatti, concreti scenari, neanche tanto remoti, al verificarsi dei quali il castello capitalistico a stelle e strisce potrebbe crollare in un attimo tirando giù mezzo mondo.

Oltretutto la stessa CNN (ubi maior …!) ha ipotizzato questa eventualità in un servizio andato in onda il primo maggio.

 

Vediamo concretamente come ciò potrebbe accadere.

A lanciare l’allarme è stata la stessa Yellen, segretario del Tesoro Usa, la quale ha affermato senza mezzi termini che gli USA “hanno enormi difficoltà a mantenere gli impegni relativi al debito pubblico perché i soldi stanno per finire ed urgono provvedimenti entro il I giugno”.

 

L’origine di tutti i mali è lo spettro della nuova era, ossia il tetto del debito (in questo caso USA e che viene fissato per legge) oltre il quale si ha il default di fatto.

 

Questa linea immaginaria, che però ha riscontri e conseguenze reali in ambito finanziario, è stata innalzata più di 100 volte dalla Seconda guerra mondiale ad oggi di cui 80 dal 1960; ciò rende l’dea di come il sistema capitalistico basato esclusivamente sul debito ha i suoi limiti, come evidenziato anche in un precedente articolo ( https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/e-se-il-capitalismo-americano-fosse-al-capolinea/ ).

 

Il limite attuale, stabilito nel 2021, è di 31.400 miliardi di dollari ed il cui rapporto con il PIL restituisce un valore intorno al 150%, in termini assoluti circa 10 volte il debito italiano (circa 140% del PIL) con una popolazione 6 volte e mezzo quella italiana, magra consolazione constatare che il debito USA pro-capite è “ancora accettabile” sebbene in stato di allarme rosso.

Pertanto, se entro il I di giugno 2023, come si prevede, il debito USA supererà questo fatidico tetto, in assenza di interventi legislativi mirati ad innalzarne il limite, si avrà il default vero e proprio.

Evitare una catastrofe simile (che si propagherà per tutto il mondo) dipende soltanto ed esclusivamente dalla politica, posto che spetta al congresso approvare un nuovo limite.

 

Lo scontro che si prospetta sarà abbastanza aspro, in primo luogo per le posizioni espresse dai due schieramenti, i Repubblicani contrari a deficit eccessivo (disposti a cedere solo in cambio di una riduzione della spesa pubblica) ed i Democratici più propensi ad un “necessario aumento”, anche dettato dalla politica non attenta del loro governo che ha generato lo status quo.

Del tutto, o quasi, tramontato l’escamotage del quattordicesimo emendamento cui appellarsi.

 

Le reazioni a catena che si avrebbero al verificarsi di un simile scenario non sono difficili da ipotizzare, a partire dalle banche USA, e non solo, piene zeppe di titoli di stato; sono, infatti, Cina, Giappone e Brasile i principali finanziatori degli Stati Uniti e naturalmente molti paesi europei attraverso i loro sistemi bancari.

 

Era altresì prevedibile che un eccessivo ricorso al debito, in assenza di riduzione della spesa, avrebbe generato criticità prossime al default, soprattutto alla luce degli sforzi profusi negli ultimi anni a causa di pandemia, guerra e conseguente caro energia ed inflazione a ruota.

 

Inoltre, l’inflazione, anche in periodi cosiddetti normali, è sempre dietro l’angolo e qualsiasi governo, o entità decisionale in ambito monetario, non può non tener conto dell’eventualità di un’impennata dei prezzi (e di conseguenza dei tassi) nel redigere i piani strategici per il futuro in materia di debito e spesa pubblica.

 

Non ha tutti i torti, alla luce di quanto sta accadendo, Bob Kennedy Jr il quale, in occasione dell’annuncio della sua discesa in campo per le prossime presidenziali, ha dichiarato di voler tagliare le spese militari “riportando a casa le truppe sparse per il mondo smettendo di accumulare debiti per combattere una guerra dopo l’altra”.

Ed è ben noto che la voce di spesa relativa all’ambito militare assorbe gran parte delle risorse.

 

La morale della favola (che sfortunatamente favola non è ma cruda e numerica realtà) è che gli USA sono ad un passo dal default, ciò induce a rivedere nella sua globalità il sistema della finanza e le strategie a livello governativo messe in campo finalizzate al mantenimento degli equilibri finanziari, produttivi ed occupazionali nonché sociali; ciò vale per tutte le nazioni, ovviamente, e non solo per gli USA.

E pensare che poco più di un anno addietro qualche colletto bianco di Moody’s affermava che “gli Stati Uniti potrebbero far fallire la Russia dopo il 25 maggio”, era il 23 marzo 2022, la Russia è ancora lì e di default neanche l’ombra …

 

Antonino Papa, 14 maggio 2023

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