Come comunicare nelle prossime settimane: una conversazione sul “Che Fare” con Research Dogma. Research Dogma è una piccola think tank che si occupa di innovazione, mutamento sociale e ricerca sociale e di mercato. Collabora attualmente con l’istituto Eumetra ma promuove un sistema open di scambio nella community dei ricercatori e dei professionisti del marketing e della comunicazione sociale e d’azienda.
Q. Voi ricercatori e sociologi vi occupate costantemente di dare una lettura al cambiamento sociale, in particolar modo in questo periodo così travagliato. Quali istruzioni per l’uso, ci potreste suggerire per aiutare cittadini ed imprese a leggere ed interpretare le notizie su quello che sta accadendo ed entra ogni giorno nelle nostre case?
RD: Oggi la comunicazione sociale si muove si piani diversi non sempre allineati e coerenti.
Coesistono due piani:
- il primo piano: quello informativo e prescrittivo (top down): sul quale si susseguono messaggi spesso contraddittori: sul periodo di lock down, sulle pratiche consentite, persino sull’uso degli strumenti di protezione spesso coinvolgendo attori istituzionali nella politica e nella medicina, che forse dovrebbero prestare maggiore attenzione a questo sistema di segnali contraddittori, che creano oggi confusione ed abbassano la credibilità stessa degli emittenti. L’ordinanza sul “Lombardo Mascherato”, emessa da Regione Lombardia il 4 aprile, per quanto in buona fede non sembra né coordinata (Governo, protezione civile, ISS), né vicina alle percezioni dei cittadini in questo momento. Forse sarebbe bastato poco: ad esempio unire questo obbligo ad una possibilità di circolazione maggiore, pur contenuta nella stessa città di residenza, per interpretare le istanze delle persone nella settimana di Pasqua. La situazione – dopo 40 giorni di quaresima e lockdown – richiede un calibrato scambio di concessioni e divieti. Si rischia altrimenti di disconnettere le istituzioni dalle persone. Non è un ragionamento sul merito sanitario. Ma sul mantenimento del consenso e della compattezza sociale. Lo vedrete già nei prossimi giorni.
- un secondo piano: quello più orizzontale, quasi popolare, legato allo zeitgeist del periodo (ripreso anche dalle aziende, come vedremo): ci sentiamo parte di un destino comune. Il NOI – al momento – prevale sull’IO. Nell’isolamento (e, per tanti, nel dolore) ci sentiamo più portati verso emozioni positive: abbiamo in fondo un naturale senso di gratitudine verso chi agisce per alleviare la situazione nei diversi ambiti; siamo più portati ad una qualche forma di considerazione (il take care verso gli altri). Ma anche noi – come persone – abbiamo le nostre contraddizioni, non solo politici e scienziati. Questo mood positivo verso gli altri non prevede sempre che una signora che sviene in coda davanti ad un supermercato venga immediatamente circondata dai suoi vicini ed assistita. La paura talvolta è più forte dello spirito del tempo, anche questo è umano, anche se non bello. Però anche questa fase richiede una evoluzione, come vedremo per le imprese, una comunicazione sociale troppo melensa, di fronte alle paure economiche può provocare rigetto. Il tema dell’Io (che è anche un tema di “quale prospettiva per me per il mio futuro, la mia famiglia, il mio lavoro ed i miei soldi”) deve essere ripreso con una certa velocità. anche su questo si rischia la disconnessione sociale fra comunicatori e popolazione.
Q: In questa guerra al Covid sono stati usati diversi slogan, e voi studiate normalmente sia i messaggi che le reazioni delle persone ai messaggi. Cosa ci puoi dire a proposito di questo utilizzo degli slogan?
RD: Tutta la comunicazione sociale e politica ha mutuato dalla comunicazione commerciale le sue forme abbreviate. Chi non riesce a riassumere concetti complessi in forme semplici oggi rischia l’irrilevanza sociale (anche noi ricercatori, talvolta). Il periodo si è nutrito anche di slogan. Ma anche gli slogan non sembrano eterni. Il primo slogan, che ancora campeggia da tanti balconi, sembra già passato di moda: “andrà tutto bene”. Seppellito da commenti sarcastici, ironici o semplicemente irati, di cui il web riporta fedele testimonianza. Al momento resiste il “restate a casa”. Anche se pure su questo stanno manifestandosi segnali di insofferenza, al momento meno radicali e diffusi. Gli insofferenti sembrano essere già almeno un terzo della popolazione. Il resto della popolazione nel bilancio fra responsabilità (paura) e disagio per la reclusione, restano ancora a favore dello slogan dello stare a casa.
Ma i segnali di un cambiamento sociale li vedete già in questi giorni. Sono i segnali di mobilità stigmatizzati da Autorità e Stampa. Governo ed autorità locali stanno pensando a reazioni “ferme e punitive” in previsione di una possibile “grande evasione” pianificata nei loro salotti dai nostri concittadini per Pasqua. Ma anche questo sarebbe un segno di nervosismo che lascia intravvedere il dubbio sulla capacità di controllo sociale. Come già detto, si tratta anche su questo versante di pensare non solo in termini di strumenti coercitivi, ma anche in termini di evoluzione di una comunicazione sociale positiva. Semplificando, e tenendoci sul tema degli slogan, significa far evolvere il messaggio dello state a casa in una direzione più vicina alle sensibilità ed alle insofferenze della popolazione. Più volte abbiamo ricordato la necessità di ragionare in termini di “nudging”, ovvero di provvedimenti che aiutino la popolazione ad orientarsi verso comportamenti positivi, senza ricorrere ad imposizioni. Il Governo, pressato sul fronte economico e su quello delle possibili alternative politiche, inizia a porsi il problema. Le regioni ed i loro governatori, meno, purtroppo. Più lucidità politica ed un po’ di ricerca su questo tema, sul come far evolvere la comunicazione pubblica verso la “fase 2”, aiuterebbe molto.
Q. Abbiamo parlato di comunicazione sociale facendo cenno anche alla comunicazione delle imprese, che spesso hanno ripreso gli slogan della comunicazione sociale. Cosa potremmo consigliare oggi ad una impresa che ha bisogno di comunicare (per vivere o sopravvivere) e possibilmente mostrandosi distintività e emotivamente connessa alle persone?
RD: È passato circa un mese dall’inizio della crisi in Italia e anche la comunicazione delle imprese è “on the move” e non sta a casa (per fortuna). La dinamica della comunicazione d’impresa in questo contesto è interessante. La prima risposta che le imprese hanno dato all’arrivo della crisi è stato il taglio dei budget di comunicazione (che permane, in una certa misura). Il secondo passo è stato quello di provare ad interpretare lo spirito del tempo: si pensi alla comunicazione attuale, quella di Vodafone o ENI (molto belle, indubbiamente) e a quella di tanti altri. La strategia delle aziende, almeno delle più importanti, sembra oggi centrata su due vettori ideali: vicinanza alle persone e responsabilità sociale, spesso anche concreta realizzata con donazioni e supporti economici alle varie entità (protezione civile, ospedali..). Ogni tanto si sente qualche campagna lievemente “out of sync”, ho in mente una appena uscita di un gigante del largo consumo, molto emozionale e che riprende il tema dell’”andrà tutto bene”, a nostro avviso un po’ in ritardo. Lo abbiamo detto sopra, prestate attenzione a come interpretate lo spirito del tempo, la situazione non è statica, bastano due settimane per andare fuori tono.
Comunque vicinanza e sostenibilità – sembra banale dirlo – non erano (e non sono) le uniche corde a disposizione. Se prendiamo ad esempio la crisi dal 2008. La risposta delle imprese fu massiccia anche sul versante delle offerte (prezzi, sconti, facilitazioni, promo varie). Oggi – a parte qualche utile regalo ai clienti da parte di alcuni (Sky, le Telco, etc.) – non vediamo ancora un ricorso importante a questa leva di relazione per stimolare i consumi.
Anche sulla tastiera della sostenibilità stiamo suonando solo alcune note. La comunicazione sul piano della responsabilità sociale in senso stretto – al momento – sembra limitata al tema charity. Ma tutti i nostri modelli reputazionali ci ricordano che oggi essere una azienda sostenibile vuol dire andare ben oltre la charity. Chi resta “solo” su quel livello, rischia anche qualche autogol reputazionale nelle prossime settimane. Donare una certa cifra a Protezione Civile o ospedali e poi una settimana dopo richiedere all’INPS la cassa integrazione per una cifra magari ben superiore, potrebbe non essere un esempio di attività consigliabile per costruire reputazione sociale nel medio periodo.
Q.Dunque quale potrebbe essere oggi il consiglio per una comunicazione d’impresa sostenibile e soprattutto efficace?
RD: Fare e comunicare oggi sono molto più in relazione di prima. Se potete (e purtroppo molte aziende non potranno) fate in modo che i soldi del governo vadano agli investimenti sulla sanità pubblica e alle aziende che ne hanno veramente bisogno.
Se potete, non chiedete dunque aiuti e cassa integrazione (anzi andatene orgogliosi e comunicatelo: è sostenibilità sociale). Difendete le vs persone e le loro famiglie, è il miglior favore che vi possiate fare.
“Difendere le vostre persone”, vuol dire difendere anche le persone della vostra filiera. Che significa: pagate subito i fornitori (riprendiamo le medie europee sui pagamenti ed abbandoniamo quelle italiane), concedete condizioni di favore quando potete (gli affitti d’impresa, i collaboratori a partita iva), etc.
Questo – per inciso – varrebbe anche per lo Stato su rimborsi fiscali e crediti IVA, una priorità da sbloccare, forse anche prima delle dichiarazioni di aiuti a pioggia e dell’organizzazione della corsa al sito INPS. Non perché il pagamento del dovuto alle aziende da parte dello Stato sia realmente prioritario, in termini finanziari. Ma questa crisi può essere l’occasione per rimettere in piedi comportamenti virtuosi, anche da parte dello Stato verso i suoi cittadini e viceversa, ovviamente. Perché queste sono le variazioni strutturali, che cambiano i comportamenti e restano dopo la crisi e rendono resiliente il sistema Italia. Anche lo Stato deve diventare migliore, se riesce.
Insomma, se potete: gestite (nel fare e nel dire, per quel che è nella vostra disponibilità) una operazione di sostenibilità sociale ed economica del vostro sistema, nel quale voi diventate protagonisti. Questo è oggi più vicino allo spirito del tempo, di queste settimane ed alla sua evoluzione nei prossimi mesi soprattutto: diventiamo migliori anche come imprenditori e CEO.
Q. Ma in queste circostanze la comunicazione sostenibile basterà a tirarci fuori dalla recessione?
RD: No, ovviamente bisogna fare di più. Ma quello che possiamo fare da subito ha comunque a che fare con la comunicazione. La comunicazione d’impresa non vola solo alto, serve a connetterci ai nostri clienti ogni giorno. Dunque, la nostra comunicazione deve parlare alle singole persone direttamente, anche se abbiamo i negozi o le imprese chiusi (o quasi). Per chi – imprese grandi e piccole – in passato ha già lavorato su digital transformation e CRM (il data base dei clienti) ora la strada è quasi in discesa. Per chi non lo ha ancora fatto: qualcosa va fatto subito. Parlo soprattutto delle aziende industriali che servono il consumatore finale (ma anche al turismo ed Horeca); quelle del mondo servizi di solito sono più avanti. Ho in mente un caso recente di una azienda di giocattoli disperata che non sa a chi vendere (con i negozi chiusi) e le nostre ricerche che descrivono bambini a casa che si annoiano e genitori disperati; voi che consiglio dareste?
Bisogna far arrivare proposte interessanti, adatte al periodo e personalizzate (anche per il prezzo) ad ogni singolo consumatore. Finora si è preferito cavalcare i sentimenti, d’ora in poi – per sostenere i consumi – si tratta di parlare di opportunità, di soldi e vantaggi concreti. Qui si parrà la nobilitate dell’impresa italiana. Nella capacità di mobilitare – whatever it takes – la capacità di spesa dei suoi clienti, che resta a buon livello, al momento. Però questa disponibilità va attivata, nelle prossime settimane e prima lo facciamo meglio è. Questo apre ovviamente tutto il tema della comunicazione diretta, non mediata, dell’ e-commerce e della logistica. In qualche misura digital transformation, appunto. Ma non vi preoccupate se non avete ad oggi un sistema perfetto, (certo se ci avete già pensato e siete ben strutturati è meglio) l’importante è sviluppare rapidamente una strategia proattiva, nella quale far convergere i diversi elementi: conoscenza del proprio cliente, possibilità di contattarlo il più direttamente possibile : con il CRM, con il web, con il lavoro sul territorio e capacità creativa di organizzazione di offerta. Non vi risolverà tutto il problema, ma vi porterà molto avanti verso una possibile soluzione.
Milano 8 aprile 2020