Relazione

Come (non) uccidere lo spirito d’iniziativa

La tartaruga e il potere

Le persone in posizione di autorità, grazie al ruolo gerarchico che hanno o i legami con la proprietà o la politica, talvolta permettono al potere di andargli alla testa. Le conseguenze?

 

PICCOLA STORIA INSEGNA

Era un’abitudine che ogni volta che le divinità avessero una ragione per festeggiare invitassero tutti a un party.

Ciò avvenne anche quando Giove decise di sposarsi e invitò tutti gli animali alla festa di nozze. E tutti gli animali furono lieti di accettare l’invito; essi amavano le feste e Giove era noto per essere sempre un padrone di casa molto generoso, geniale e – fatto non trascurabile – il “sovrano degli dei”. Tutti gli animali, ma con l’eccezione della tartaruga: che era un po’ scontrosa e decise di rimanere a casa. “Non mi interessano i party”, disse ai suoi vicini, “non mi diverto mai e non mi piace tutto quel ballare e cantare”.

La festa fu un grande successo e tutti si svagarono enormemente. Naturalmente Giove si accorse che la tartaruga non aveva partecipato. La prima volta che gli capitò di incontrarla, la fermò e le chiese perché non avesse partecipato alla festa.

“Caro Giove, disse la tartaruga, “in realtà non mi piacciono le feste. Preferisco restare in casa. Non c’è nessun posto confortevole come la casa, dopo tutto.”

Giove fu molto infastidito dalle parole della tartaruga e tuonò: “Se ti piace la tua casa così tanto, decido che da ora in poi e per sempre tu porterai la tua casa con te, sulla tua schiena!”

E così da quel giorno le tartarughe devono trasportare le loro case sul loro dorso, dovunque vadano.

 

LEZIONI DA IMPARARE

Questa storiellina ci ricorda che le persone in posizione di autorità, in politica ma anche nel business, a volte si sentono invincibili, superiori alle regole in vigore e sono anche particolarmente attenti a leggere nei comportamenti di coloro che considerano loro sottoposti possibili offese o “mancanze di rispetto”. Immaginiamoci poi se in posizione di autorità è il “sovrano degli dei”!

 

L’eccessiva differenza di potere porta conseguenze molto negative.

Ci sono al riguardo esempi macroscopici, fortunatamente piuttosto rari, e altri – meno evidenti ma molto diffusi – che hanno luogo soprattutto nel mondo del lavoro.

Casi eclatanti riguardano le molestie sessuali. Ha fatto molto scalpore il caso negli USA di Harvey Weinstein, il fondatore della omonima società di produzione di film, con le vittime che hanno dichiarato di aver tollerato le sue intimidazioni per via del suo potere nell’industria del cinema; ci sono poi situazioni in cui le pressioni da parte di potenti su persone più deboli le portano ad agire in modo non etico con la violazione di regole e leggi.

Ma voglio soffermarmi sul fenomeno invece molto diffuso in cui, per via della forte differenza di potere, un gran numero di persone evitano il rischio di esprimere le loro idee, di avanzare suggerimenti o denunciare errori e azioni sbagliate per non contraddire i loro capi o per non venire in conflitto con la cultura aziendale.

Tutto ciò porta come diretta conseguenza la riduzione o l’annullamento nei collaboratori dello spirito di iniziativa.

 

LE VERE CONSEGUENZE DEL FINTO POTERE

Il seguente esempio può rendere l’idea del modo in cui un capo danneggi inesorabilmente quell’iniziativa escludendo qualsiasi aiuto o consiglio da parte degli altri.

Il capo dice al suo subalterno: “Ecco cosa voglio che si faccia e come voglio che sia fatto”. Il subalterno risponde, “Posso farlo a modo mio? Ci vorrà meno tempo per arrivare allo stesso risultato.”

Il capo replica: “Non ho chiesto il tuo consiglio, ti ho chiesto di fare una cosa ben precisa”. Il subalterno è stato messo a tacere e lo ha capito benissimo.

Questo modo di interpretare il potere del ruolo si fonda su tre presupposti molto discutibili:

  1. dire agli altri quello che devono fare significa essere forti;
  2. chiedere agli altri dei suggerimenti significa essere deboli;
  • le persone vogliono essere guidate.

Ora alcune persone desiderano davvero essere guidate. Ma la maggioranza non vuole la sottomissione, si augura di agire con una certa autonomia e di potersi prendere delle responsabilità.

Quando ciò non gli è consentito, cambia lavoro;

  • se ciò non è possibile accetta che qualcuno gli dica che cosa deve fare, pronta a eseguire un ordine ma smettendo di partecipare attivamente al conseguimento degli obiettivi aziendali;
  • un’alternativa al sentirsi ignorati o offesi da un trattamento ai loro occhi arbitrario e prendendo atto della loro debolezza come singoli, i subordinati si uniscono in iniziative sindacale per costringere il capo a modificare il modo di dirigerli: in fondo anche questa è una modalità per ridurre la differenza di potere.

 

LEZIONE IMPARATA

Nella gestione del business di oggi, però, il leader di successo ha compreso che la chiave della conduzione dei collaboratori non è più la leva del potere.

Invece ciò che conta è l’organizzazione delle attività, la qualità della vita lavorativa, la capacità di far vedere la “cattedrale”.

 

La “cattedrale”?

Racconta Jan Carlzon, il mitico Ceo di SAS negli anni ’80:

“Non c’è modo migliore di riassumere la mia esperienza che la storia dei due operai che stavano scalpellando due masse di granito. Un visitatore della cava domandò che cosa stessero facendo. Il primo scalpellino, accigliato e risentito, borbottò: “Sto tagliando questa maledetta pietra per farne un blocco”. L’altro, che appariva invece soddisfatto del suo lavoro, rispose con un certo orgoglio: “Faccio parte del team che sta costruendo la cattedrale!”.

Un lavoratore che può immaginarsi l’intera cattedrale e a cui è stata data la responsabilità di costruirne una porzione, è molto più soddisfatto e produttivo di quello che invece vede soltanto il granito che ha di fronte a sé.

Lezione questa – a mio avviso – da ricordare sempre.


Edoardo Lombardi, 13 febbraio 2022

 

 

 

 

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