“Ciao Leopoldo come stai?”. La voce al telefono è quella di Alessandra. E’ un pò che non ci sentiamo, da quando questo stramaledetto virus ha cambiato radicalmente le nostre vite e noi abbiamo lasciato che lo permettesse. Sono fuori sul balcone di casa. Oggi finalmente il sole comincia a farsi sentire ed io provo ad espormi ai suoi raggi benefici, a riscaldare corpo e anima. Dicono che faccia bene. Esporsi al sole fa salire il dosaggio della vitamina D, e pare che questa possa aiutare l’organismo a rispondere meglio agli attacchi di Covid-19. Nel dubbio seguo il consiglio dei medici che lo suggeriscono, nel peggiore migliorerò il mio colorito. Mi chiedo però, se fosse vero, lo stare a casa non peggiorerebbe la condizione del nostro sistema immunitario?
Proprio mentre Alessandra mi racconta i suoi ultimi giorni a Milano sento delle urla arrivare dalla strada. C’è un posto di blocco dei Carabinieri, hanno fermato una persona e vogliono multarla probabilmente perché non poteva giustificare la sua presenza fuori da casa, cominciano a litigare, alzano la voce, gli equilibri sembrano essere sul punto di saltare, come i nervi delle persone. Sembra di vivere in uno stato di polizia. In poco tempo, in meno di cinquanta giorni abbiamo perso più di quanto potessimo immaginare di perdere: la certezza di stare bene in salute, la certezza che gli ospedali potessero essere un porto sicuro in cui approdare in caso di necessità, la certezza di poter disporre del nostro “Libero Arbitrio”. Ma c’è dell’altro che abbiamo perso. La voce di Alessandra richiama la mia attenzione. Pochi convenevoli, poi flebile, quasi si vergognasse di cosa sta per dire, mi confessa :”Speriamo passi in fretta, la mia attività andava benissimo prima di Covid-19. Ora non stiamo più lavorando. In due mesi, con tutte le spese che abbiamo, rischio di non avere abbastanza soldi per pagare le bollette e comperare da mangiare”.
Mi racconta dopo, solo dopo, che il papà è ancora in terapia intensiva e che il fratello, anche lui malato, è da poco uscito dalla terapia intensiva. Non li vede da 20 giorni, da quando di corsa, a sirene spiegate, li hanno portati via entrambi. Comprendo quanto il suo quadro psicologico sia complicato. Anche la mamma è stata male, ma in ospedale è rimasta solo un paio di notti. E’ stata male anche lei, per 10 giorni ha avuto la febbre alta, ma è rimasta a casa, perché non ha mai avuto problemi respiratori. “E se fossi stata io a farli ammalare tutti?” Mi dice tutto d’un fiato?
Provo a farle capire che non sarebbe comunque colpa sua, che la colpa è della malattia solo della malattia. Poi mi dico che no, non è colpa solo della malattia, perché che Covid-19 potesse arrivare in Italia lo si sapeva, lo sapevano bene quelli che hanno trasformato molti dei nostri ospedali in bombe virali, in amplificatori della malattia. Hanno trasformato medici ed infermieri in EROI perché hanno dovuto e continuano a combattere la malattia senza i mezzi necessari. Com’è possibile che a 50 giorni dal primo caso, quello del 21 febbraio, negli ospedali manchino ancora le attrezzature per proteggere medici ed infermieri. Non è possibile. Può essere possibile solo per 10 giorni, non per due mesi, medici ed infermieri avrebbero dovuto svolgere la loro professione, magari con più attenzione e dedizione, visto il momento, ma non avrebbero dovuto fare gli EROI, non dovrebbero MORIRE.
C’è qualcuno che pagherà per tutto questo?
Non è colpa della malattia se in Germania ci sono 30mila posti in terapia intensiva ed in Italia soltanto 3500, non è solo colpa della malattia se in Italia sono già morte più di 15mila persone. Basterebbe rileggere la cronaca delle ultime cinque settimane per comprendere che la malattia non è la sola responsabile di ciò che sta accadendo. Poi mi chiedo; ma se Lodi, Bergamo e Brescia, zone in cui ho amici cari, fraterni, con cui ho condiviso molti degli ultimi 20 anni della mia vita, fosse stata colpita da un forte terremoto, come si sarebbe comportata la comunità internazionale? Non ci sarebbe stata la corsa alla solidarietà? Perché nessuno ha mosso un dito? Perché nessuno si è preoccupato di convertire più di qualche fabbrica tessile in produzioni di materiali per sanitari prima e pazienti poi? Perché i tempi dell’omologazione del materiale sanitario sono più lunghi oggi che in tempi normali? Ma vi sembra normale?
Poi, stasera, (ieri per chi legge) domenica 5 aprile, accendi la tv e Fabio Fazio, grande nel raccontare questo caso, ci fa vedere che a Varazze, in Liguria c’è un signore, che da buon imprenditore, ha acquistato in Cina una macchina (costo totale compreso tra acquisto, dazi e spedizioni 140mila euro) che produce 290mila mascherine al giorno.
290mila al giorno?
Credo di aver capito male, ma la cifra è corretta e la ripetono più volte.
Correttamente Fazio chiede ad alta voce, con fare polemico, come mai non se ne comprino 10, 20 di queste macchine a livello nazionale. 10 costerebbero 1,4 milioni, il doppio delle macchine 3 milioni circa. Ma, basta un semplice calcolo matematico per sottolineare come dieci di queste macchine produrrebbero 2 milioni e 900 mascherine al giorno, e che 20 ne produrrebbero circa 6 milioni. Al giorno. Allora è anormale arrabbiarsi?
I medici e gli infermieri muoiono e ci sono attrezzature che con soli 3 milioni, che per il bilancio nazionale sarebbero un’inezia, avrebbero risolto ogni problema produttivo di queste benedette mascherine? La domanda che Fazio lancia nello studio vuoto echeggia con la forza esplosiva di una bomba. Come si fa ad accettare un’aberrazione simile?
Capite che si potrebbe trovarle gratis ad ogni angolo della strada ed invece la gente litiga per comprarle e c’è che le vende a prezzi da capogiro e su raccomandazione? Ma in che Mondo viviamo, in che Italia viviamo, ma da chi siamo guidati? Ma la cosa più allucinante è stata che le mascherine prodotte da quel macchinario non possono essere utilizzate, non ancora almeno, perché mancherebbero le autorizzazioni, le omologazioni, necessarie per carità, ma che dovrebbero avere risposte brevi, in un senso o nell’altro.
https://www.raiplay.it/video/2020/04/Che-Tempo-Che-Fa–31eee839-4426-4426-ae3b-9ed301b52258.html
Tutto questo, si dice, è colpa della BUROCRAZIA. Ma, ci chiediamo, non sarebbe ora di dire basta con la storia della BUROCRAZIA? E’ troppo facile dire BUROCRAZIA. Sembra un parolone con cui ci si riempie la bocca, un parolone che vuol dire tutto (lentezza, procedure a volte inspiegabili, costi, infiniti moduli da riempire, code interminabili. negli uffici, portali web che non funzionano) ma che in realtà non vuol dire nulla.
Non si può dare un nome e un cognome ai “signori” BUROCRAZIA?
Non si può fare un decreto in più e stabilire quali laboratori ad esempio debbano occuparsi delle mascherine fissando anche i tempi di certificazione o diniego, magari in un giorno, due giorni al massimo? E’ così difficile?
Perché in Francia quelle macchine le hanno comperate e le usano, come raccontato nella trasmissione di cui sopra e da noi no?
Cosa mi resta da dire ad Alessandra? Che il tempo che stiamo vivendo è un tempo surreale, che è colpa della malattia, o ci sono altri correi? Di chi è la colpa, sua o della malattia, della BUROCRAZIA o di chi la incarna o di chi non interviene per arginarne gli effetti?
La gente muore, per carità. La gente impazzisce all’idea di stare ancora tanto in casa. L’economia va a rotoli e noi non abbiamo le mascherine che potremmo avere così facilmente? Provo a rincuorare Alessandra.
Ci salutiamo. E’ domenica, domenica della palme. Per noi cristiani varrà qualcosa, così mando qualche messaggio agli amici, ad alcuni dei miei più stretti collaboratori. Passano pochi minuti ed il suono delle mail mi segnala che ne è arrivata una.
E’ di Francesca. Non sapevo che avesse perso il papà meno di una settimana fa, a Milano. La leggo e mi viene da piangere.
Come vi sentireste se fosse capitato a vostro padre?
Ci siamo abituati a questi limiti, e anche alle morti, al sacrificio dei medici, alla polemica sulle mascherine: alla fine diventa tutto normale … finché resta un racconto.
Papà non era autosufficiente in niente, nemmeno parlava. Andavo da lui a colazione pranzo e cena per imboccarlo, con i suoi tempi, mamma preparava qualche buona pietanza e io riuscivo a dargliene qualche cucchiaino, gli davo acqua da bere, o chinotto, lo tenevo sveglio e pulito, barba denti orecchie tutto. Con noi aveva ripreso a ingoiare tutto.
Poi una mattina la dottoressa mi ha detto Non venite E’ pericoloso! Cortocircuito.
Dopo dieci giorni ci hanno concesso una visita lampo, dormiva, aveva la barba lunga e il vassoio del cibo intatto, i denti impastati di acqua gelificata oramai incrostata in bocca. Dopo altri otto giorni ci hanno avvisato che era iniziata la terapia con la morfina. Ho chiesto se potevamo portarlo a casa o se potevano spostarlo in una stanza da solo per permetterci l’accesso… ma era intubato e non si poteva. Ho insistito per mia mamma, e le hanno concesso un minuto ma sarebbe stato molto alto il rischio contagio per lei, c’era un caso di Covid-19 in ospedale. Così abbiamo dovuto pensarci bene, riflettere e valutare, e alla fine scegliere di lasciarlo morire da solo, scegliere NOI di non vederlo più. Il giorno dopo, nella camera mortuaria aveva una mascherina sulla bocca. Non era stato il Covid-19 ma una semplice polmonite e ha sofferto.
Ma non so cosa si sarà detto tra sé, se si sarà sentito abbandonato… o preoccupato per la nostra strana assenza improvvisa. Di certo non è morto sereno. Scusa se il racconto non è leggero e se ora non riesco a parlarne ma solo a scriverlo.
Era mio padre. Ce n’è uno e muore una volta sola. Di tutto il resto non mi importa niente.
Sono grata che è stato accudito in un ospedale di periferia, lontano dal caos del Covid-19, curato da medici premurosi, ci ha avuto vicine da ottobre ogni giorno finché è stato possibile:Oggi mi sento svuotata, credo sia fisiologico. Con mamma, ognuna nella sua stanza e insieme solo ai pasti, non rincorriamo la risoluzione del lutto; ora c’è questo. C’è stato altro, e in futuro saranno i bei ricordi a riempirci il cuore, ce ne sono tanti. Tanti di nuovi ne verranno. A volte mi sento tradita da questo mio sorriso che fa sembrare tutto a posto, tutto passato anche quando il dolore ancora toglie il fiato. Niente, lui spunta come un’alba e siamo già a un nuovo giorno.
Francesca
Serva aggiungere altro?