Non sarà una guerra, ma poco potrebbe mancarci. I dockers di tutti i porti della costa atlantica degli Stati Uniti e del Golfo del Messico, potrebbero dal primo ottobre prossimo incrociare le braccia ed entrare in sciopero provocando quello che gli esperti del settore della logistica e dei trasporti non esitano già a definire un vero e proprio tsunami. E non solo per l’economia americana, guarda caso alla vigilia delle Elezioni presidenziali di novembre, ma anche per tutta l’economia mondiale e l’interscambio commerciale via mare alla ricerca ormai da mesi (a causa della guerra in Ucraina, ma specialmente della crisi in Mar Rosso) di nuovi precari equilibri.
L’ipotesi di uno sciopero ad oltranza non è così remota. Anzi, le organizzazioni sindacali dei portuali, il cosiddetto fronte del porto, hanno detto a chiare lettere che in assenza di un accordo sul nuovo contratto di lavoro che scadrà il 30 settembre, i lavoratori di banchine e terminal non attenderanno neppure 24 ore prima di entrare in sciopero e bloccare, con effetti e ricadute disastrose, tutta la portualità della costa orientale degli Stati Uniti.
Secondo un report di Sea Intelligence due settimane di blocco potrebbero richiedere almeno tre mesi per un ritorno alla normalità e un riequilibrio della catena logistica. Fatto sta che già oggi grandi case di spedizione stanno accumulando scorte e spostando il loro carico nei porti della costa occidentale, come il porto di Los Angeles.
Muro contro muro sul contratto dei dockers
All’origine del contrasto è l’accordo per il nuovo contratto: il vecchio siglato sei anni fa tra l’ILA, il sindacato dei lavoratori portuali della costa orientale degli Stati Uniti, e l’USMX, l’organizzazione dei terminal, scade il 30 settembre 2024. Le trattative di lavoro si sono arenate a giugno e l’ILA insiste che se non ci sarà un nuovo accordo, inizierà uno sciopero a partire dal 1° ottobre 2024.
Con il blocco del Canale di Suez, i problemi di Panama causati dai bassi livelli delle acque e i problemi di lavoro delle ferrovie canadesi che hanno colpito i porti della British Columbia, un nuovo fattore negativo potrebbe produrre una vera e propria escalation nelle tariffe frutto di una ennesima rivoluzione nelle catene logistiche.
Secondo Sea-Intelligence, i volumi di movimentazione sulla costa orientale degli Stati Uniti si attestano su 2,3 milioni di TEU in ottobre, sulla base di stime storiche, che si traducono in 74.000 TEU al giorno, di cui 36.000 in importazione e 38.000 in esportazione. Solo per i vuoti, uno sciopero significherebbe l’impossibilità di caricare 20.000 TEU al giorno.
Una volta terminato il potenziale sciopero, questo accumulo di container dovrebbe essere gestito in aggiunta al normale flusso e ci vorrebbero 6 giorni per smaltire l’arretrato di un giorno di sciopero.
Uno sciopero di una settimana all’inizio di ottobre non verrebbe smaltito prima della metà di novembre. Se lo sciopero durasse 2 settimane, realisticamente i porti non tornerebbero a funzionare normalmente prima del 2025.