Il value investing si può declinare in vari modi. Qui abbiamo una visione diversa rispetto a quella di Warren Buffett. Ce la offre un gestore sicuramente meno famoso, ma che è stato davvero un grande innovatore.
Il 5 maggio è una data impressa nella mente di tutti, per motivi diversi. C’è chi la ricorda per la morte di Napoleone, avvenuta nel 1821, anche grazie all’indimenticabile poesia di Manzoni in cui si evidenzia più la vicenda umana del grande condottiero che il suo ruolo storico (fra l’altro senza nominarlo mai!). Gli interisti la ricordano invece come il giorno di uno scudetto mancato, scudetto che non vincevano da 13 anni e che sembrava a portata di mano in uno stadio interamente colorato di neroazzurro. Rimarrà per loro indimenticabile il goffo retropassaggio di Gresko e il quarto gol siglato dal loro attuale allenatore.
Per gli appassionati di finanza invece è la data della scomparsa di David Swensen avvenuta invece nel 2021 a soli 67 anni. A più di un appassionato di finanza però questo nome dirà comunque poco, anche se sicuramente meriterebbe più notorietà. Meno celebre di grandi guru del calibro di Ray Dalio o Warren Buffett, David Swensen è stato un grande investitore americano, gestore del fondo di investimento della Yale University che garantisce soldi extra per la gestione dell’Università. Le università americane infatti sopravvivono grazie alle donazioni di ricchi benefattori, le quali vengono raggruppate in un endowment che è a sua volta investito in fondi. Il successo di questi investimenti garantisce il futuro degli istituti accademici. Ne ha iniziato la gestione nel 1985 e ha continuato fino alla sua morte aumentandone la dotazione da circa 1 mld di $ fino a portarlo a 30 mld circa quando vi fu sua dipartita (senza contare le somme prelevate nel frattempo per edifici o servizi dell’università) con un rendimento medio superiore al 12% l’anno.
È stato anche chiamato “l’uomo da 8 miliardi di dollari di Yale” per aver realizzato quasi 8 miliardi di dollari per la dotazione del college dal 1985 al 2005. Secondo l’ex presidente di Yale, l’economista Richard Levin, il “contributo” di Swensen a Yale è stato maggiore della somma di tutte le donazioni fatte in più di due decenni.
Swensen ha iniziato la sua carriera nel 1980 in Salomon Brothers nel settore della corporate finance. Nel 1981 strutturò il primo accordo di swap valutario fra IBM e World Bank per coprire l’esposizione di IBM verso franco svizzero e marco tedesco e permettere alla World Bank di fare prestiti in queste valute in maniera più efficiente. Passò poi a Lehman Brothers occupandosi sempre di swap e dello sviluppo di nuovi prodotti finanziari. Nel 1985 il passaggio a Yale e la sua consacrazione come gestore e la nascita del modello Yale, che forse però andrebbe chiamato modello Swensen. Ma come ha raggiunto questi risultati?
Era opinione comune all’epoca che i fondi universitari dovessero concentrare i loro investimenti in attività classiche come le obbligazioni e le azioni. Swensen invece, seguace della teoria di portafoglio di Markowitz, Nobel per l’economia nel 1990, decise di mettere in atto i vantaggi della diversificazione e lavorò durante la sua gestione nell’ottica di portafoglio, piuttosto che nella ricerca di rendimento in ogni singolo investimento.
Inoltre, Swensen notò un’altra cosa importante ed è quella che forse è stata maggiormente la chiave del suo successo. L’orizzonte temporale del fondo era il lunghissimo termine, e questo gli consentiva di inserire asset class fino ad allora trascurate come gli investimenti alternativi, sostituendoli ad asset class come i bond che avevano rendimenti inferiori (a condizione però che queste avessero basse correlazioni con il mondo equity). Riuscì così a portare a casa rendimenti più consistenti senza troppi rischi aggiuntivi. Un esempio di queste attività alternative sono i REIT.
In parole povere con questo termine si identificano società immobiliari che finanziano la costruzione di immobili che poi provvedono ad affittare. Quindi il profitto di queste società proviene dai canoni di affitto periodici. C’è poi da considerare che le attività caratterizzate da minor liquidità come i REIT tendono ad essere prezzati in maniera meno efficiente ed in questo modo offrono al gestore l’opportunità di approfittare delle inefficienze del mercato e di massimizzare i profitti.
Il modello Yale investitore è stato poi descritto nel libro di Swensen Pioneering Portfolio Management. Consiste sostanzialmente nel dividere un portafoglio in cinque o sei parti approssimativamente uguali e nell’investire ciascuna in una diversa classe di attività. Al centro del modello Yale c’è un’ampia diversificazione e un orientamento alle azioni ed agli investimenti alternativi, evitando classi di attività con bassi rendimenti attesi come il reddito fisso e le materie prime (anche se viste le quotazioni attuali, qui ci sarebbe da discutere).
Particolarmente rivoluzionario all’epoca fu il suo riconoscimento che la liquidità è una cosa negativa da evitare piuttosto che una cosa buona da cercare, poiché ha un prezzo pesante sotto forma di rendimenti inferiori (su questo punto invece gli italiani dovrebbero riflettere, e molto, viste le masse ferme sui c/c). Identifica inoltre le asset class core e quelle non core, esprimendo la convinzione che quelle del gruppo non-core siano in ogni caso scelte sub-ottimali rispetto alle altre. I bond High Yield e le Commodity finiscono nella seconda fascia per motivi di correlazione con l’equity o di scarsa protezione dall’inflazione.
Swensen però non era un veggente. L’eccellente risultato è stato però realizzato passando da ribassi significativi e prolungati nel tempo. Durante la crisi del 2008 il portafoglio Swensen è arrivato a perdere il 45% impiegando circa 18 mesi per recuperare il ribasso, mentre durante la crisi sanitaria da Covid-19 del 2020 la discesa è stata del 16% circa. Per lui però il centro dell’attività non era il breve termine, sapeva che il suo portafoglio poteva subire storni, ma la costruzione di un asset allocation efficiente. Swensen aveva ben chiaro il suo obiettivo, aumentare la dotazione in modo da finanziare una percentuale molto maggiore delle spese annuali di Yale e ci riuscì in modo spettacolare. Aveva inoltre chiaro l’orizzonte temporale. E nessuno storno di breve poteva spaventarlo.
Alessio Benaglio